La collina dei conigli: recensione

Difficile non dimenticare un trauma infantile come La collina dei conigli, film del 1978 tratto dall’omonimo romanzo di Richard Adams. Una storia di un gruppo di conigli che, dopo essere sopravvissuto alla distruzione della sua casa, affronta innumerevoli pericoli, scampa alla morte solo per vedere diversi compagni perdere la vita nei modi più crudi, al fine di trovare una nuova dimora ed una speranza per il domani.
Seppur presentasse qualche differenza e fosse leggermente affrettato, il film rispettava lo spirito del romanzo, soprattutto per quanto riguarda la crudezza delle scene più truculente e, paradossalmente, anche la spensieratezza dei momenti più tranquilli.
Nel non troppo lontano 2018, Noam Murro (300 – L’alba di un impero) dirige per BBC e Netflix l’omonima serie TV di quattro episodi, con un cast che non ha niente da invidiare a quello del film del ’78: se il primo aveva John Hurt e Richard Briers, questo ha James McAvoy, Nicholas Hoult, John Boyega, Ben Kingsley e Peter Capaldi.

Quintilio ha una visione: molto presto la sua conigliera verrà distrutta e il sangue ricoprirà l’erba che la circonda. L’unico a credergli è suo fratello Moscardo, che decide di fuggire assieme a chiunque darà loro ascolto. Tra questi vi è lo scontroso Parruccone, che diventerà in futuro il suo miglior alleato.
In viaggio verso una collina vista da Quintilio in una delle sue visioni, i conigli dovranno imparare a fidarsi l’uno dell’altro, mentre cercano di sfuggire ai continui pericoli creati dagli umani e alla minaccia del dittatore della vicina conigliera di Efrafa, il generale Vulneraria.

Sebbene sia ovvio che questa serie non sia un remake del film, vi sono numerose differenze rispetto al romanzo presenti sia nell’una che nell’altra opera: il numero dei conigli in viaggio, l’assenza di Violetta, l’introduzione che spiega la creazione del mondo secondo la mitologia dei conigli e molte altre.
Si può invece confermare che la serie Netflix-BBC tragga spunto dal suddetto film, cercando di creare un prodotto suo, come, per fare un esempio eccedente, fece Peter Jackson col film di Ralph Bakshi a suo tempo per la trilogia di film più famosa della storia.
La maggior durata della serie è servita a risolvere due problemi del film: prima di tutto la frettolosità con la quale la trama si districava. Non che fosse impossibile seguire lo svolgersi degli eventi, ma determinate situazioni potevano essere esplorate con più parsimonia, cosa che la serie è riuscita a fare. In secondo luogo, i personaggi hanno avuto una degna caratterizzazione, sia principali che secondari. Ognuno di loro ha le proprie paure, le proprie idee e la propria visione dei piani di Moscardo, e tutte vengono esplorare ed esplicate a dovere. Non tutti risultano simpatici, almeno alla prima impressione, ma i loro cambiamenti psicologici dovuti alle continue situazioni drastiche che affrontano spingeranno lo spettatore a sperare nella loro riuscita.
I dialoghi sono credibili e ben congegnati, il rapporto che s’instaura tra un coniglio e l’altro viene sviluppato e mutato col tempo, in una storia che lascerà ampio spazio a dubbi, compromessi, litigi e riconciliazioni.
Elogio speciale va al voice acting, sia originale sia italiano. Nel primo luogo, i migliori interpreti sono i principali: McAvoy (Le Cronache di narnia: Il Leone, la strega e l’armadio; X-Men – L’inizio; Split) nel ruolo del saggio seppur esitante Moscardo; Nicholas Hoult (About a Boy; Mad Max: Fury Road; X-Men – Apocalypse) nel ruolo del timido e preoccupato Moscardo e, sorprendentemente, John Boyega (Pacific Rim – La rivolta; Star Wars- Gli ultimi Jedi), che è riuscito a rendere perfettamente un minaccioso e serio Parruccone.
Parlando del doppiaggio italiano, invece, non si può non lodare una delle voci più importanti della storia delle sale di registrazione, Dario Penne (doppiatore ufficiale di Anthony Hopkins, Michael Caine, Ben Kingsley e Tommy Lee Jones), nel ruolo del terrificante Generale Vulneraria. Per un ruolo simile ci si sarebbe aspettato un Corvo, un Pannofino, o magari anche un Rossi, ma data la presenza dell’attore originale non si poteva fare altrimenti. E diciamolo, il risultato non sarebbe stato ugualmente riuscito.

Tuttavia, nonostante quest’opera riesca a risolvere un problema del film, manca della caratteristica che rendeva quest’ultimo memorabile: la violenza.
Per carità, non che un’opera senza sangue sia brutta, o che non sia presente truculenza in questa serie, ma i corpi smembrati dei conigli e di altri animali, il sangue che usciva dalle loro ferite, l’agonia nei loro occhi, era ciò che ancora oggi ci fa ricordare perché un titolo adorabile come “la collina dei conigli” susciti terrore.
Qui i conigli combattono tra di loro e muoiono, ma mancano gli schizzi di sangue, le immagini realmente crude e con un gore indimenticabile e, per un bambino, orribile a vedersi.
Aggiungendo oltretutto il fatto che questa serie sarebbe potuta essere di gran lunga migliore, per non dire artistica, se fosse stata fatta in 2D, anziché in una CGI barbina che somiglia ad una cutscene di un gioco PS2. Sembra quesi che abbiano fermato il rendering a metà giusto per far vedere il sufficiente.

Nonostante ciò, La collina dei conigli di Netflix-BBC riesce nel suo intento: raccontare la storia del libro con qualche differenza qui e là, ma nondimeno rispettandone lo spirito. Seppur sia difficile ammetterlo, alche il film del ’78 aveva i suoi problemi, quindi non ci si dovrebbe lamentare troppo del risultato.

Lo si dovrebbe guardare come si guarda qualsiasi cosa: come una trasposizione a sé senza pensare alle precedenti rappresentazioni. Se si abbandona per un attimo, o meglio, per circa quattro ore, il fattore nostalgia, e se si riesce a superare la computer grafica poco discreta, si può riuscire a godere totalmente questa serie.

Andrea De Venuto

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