La casa delle bambole: recensione

Tra i cultori del genere horror una certezza che si è fatta strada in questo decennio è il fatto che Martyrs, lungometraggio francese del 2008, sia una delle migliori opere realizzate a riguardo, consacrando così il suo regista Pascal Laugier tra i più esperti del settore, questo grazie alla sua innata bravura nello strutturare in modo geniale storie dagli spunti seppur semplici.

Si è ripetuto poi nel 2012 con I bambini di Cold Rock, decente racconto di responsabilità famigliare cha parte dal semplice spunto del classico “uomo nero”, ed ora torna sui grandi schermi con un’altra storia a tinte forti, che apre le danze con una didascalia dedicata ad H.P. Lovecraft; grazie a La casa delle bambole Laugier quindi riporta i suoi spettatori in un nuovo incubo, tutto vissuto al femminile (sguardo consono nel suo cinema) e intriso di atmosfere degne di nota, utilizzando per protagoniste una famiglia composta da sole donne.

Loro sono mamma Pauline (Milène Farmer) e le sue due figlie adolescenti, Beth (Emilia Jones), appassionata di libri horror e del succitato Lovecraft, e Vera (Taylor Hickson), tutte e tre trasferitesi nella nuova casa dove dovranno abitare ed appartenute ad una loro vecchia parente.

L’abitazione è un luogo inquietante, arredato di bambole in ogni dove e disperso in una landa fuori città, ma durante il trasloco, proprio al loro arrivo, davanti alla porta di casa si presenta un furgone minaccioso, alla cui guida c’è qualcuno malintenzionato e deciso a far del male alla famiglia appena arrivata.

L’incubo prende inizio, ed anche quando Beth (Crystal Reed) sarà adulta tale esperienza malefica non la lascerà in pace, mostrandosi difficile da dimenticare.

Folgorante Laugier, capace di raccattare una trama canovaccio che vacilla tra l’home invasion e il rape and revenge e farla divenire qualcosa di più della media, utilizzando le sue qualità di narratore innato e strutturando l’intera vicenda con un gioco dimensionale che possa trascinare lo spettatore da un’inquietudine all’altra.

Molto complicato descrivere il fascino de La casa delle bambole senza far trapelare molto, ma dire che con questa opera ci si trova di fronte ad un incastro mentale degno di nota, come fosse una sorta di “inception” in salsa horror, non sarebbe sbagliato, e tutto ciò gonfia di molto i buoni risultati del lavoro di Laugier, che, memore della lezione di cinema impartita a suo tempo con Martyrs, in questo caso si ripete, con esiti più discreti ma sempre migliori della media comune di oggi.

In più il suo occhio spinge il pedale dell’ispirazione citazionista, gettando un universo appartenente al cinema di Rob Zombie (per di più nominato anche in una battuta) e modificandolo a suo piacimento, tra atmosfere retrò simil anni ’70 e strizzate d’occhio varie ad altri titoli del terrore (l’accumulo di pupazzi stile Dolls – Bambole di Stuart Gordon, la scena di apertura presa così com’è da Jeepers creepers – Il canto del diavolo di Victor Salva).

Questo La casa delle bambole è un originale appuntamento con il peggiore dei vostri incubi, riuscendo a dare quel malsano disagio tipico dei film horror ben calibrati, il tutto senza far utilizzo di sortilegi ed esorcismi ormai ultra abusati in pellicole odierne; Laugier fa a meno di raccontare storie fittizie spacciate per vere ed in modo lovecraftiano ricrea e fonde universi agli opposti, mischiando orrore vero con falsi obiettivi da realizzare, senza arrivare al capolavoro ma comunque rimanendo nei parametri del puro genio narrativo.

Mirko Lomuscio