Il ritorno di Mary Poppins: recensione

“Tutto è possibile. Perfino l’impossibile”. È questa la regola d’oro della tata più amata al mondo. Già… perché la magica Mary Poppins sta per tornare e lo farà questo Natale trasportata da un burrascoso vento dell’est che promette singolari avventure e un pizzico di stupore.

Disney, infatti, ha deciso di affidare il sequel della pellicola del 1964, diretta da Robert Stevenson e interpretata da Julie Andrews e Dick Van Dyke (che fu candidata a ben 13 Oscar®, vincendone cinque), a Rob Marshall (Into the woods, Chicago) e a un cast di tutto rispetto.

Stavolta è Emily Blunt (Into the woods, La ragazza del treno) a incarnare la mitica governante colma di integerrimo rigore, ma anche di un certo strano e fatato luccichio negli occhi. A farle compagnia, troviamo il lampionario Jack (eh sì… niente più spazzacamini!), interpretato da Lin-Manuel Miranda (Hamilton, Oceania), un instancabile lavoratore che porterà luce e gioia nelle strade (e nella vita!) di Londra, Ben Whishaw (Spectre) che dà spessore a un Michael Banks afflitto dal dolore e dalla crisi finanziaria, Emily Mortimer (Hugo Cabret) che nei panni di Jane Banks, vi ammalierà con il suo candido sorriso, Julie Walters (saga di Harry Potter) che nel ruolo di Ellen, la domestica dei Banks, vi sorprenderà con il suo humour tagliente. Al loro fianco anche l’attore premio Oscar® Colin Firth (Il discorso del re) che saprà offrirvi una performance da vero villain nelle vesti di William Weatherall Wilkins, il direttore della Banca di Credito, Risparmio e Sicurtà, nonché l’attrice premiata con tre Academy Award® Meryl Streep (Florence) nel ruolo di Topsy, l’eccentrica cugina di Mary. I tre piccoli Banks, invece, sono interpretati da Pixie Davies (Miss Peregrine – La casa dei ragazzi speciali), Nathanael Saleh (Il trono di spade) e dall’esordiente Joel Dawson.

Ma a parte la nutrita troupe artistica, cosa ha di veramente straordinario questo lungometraggio? Una premessa: non aspettatevi la stessa mirabolante magia dell’originale, perché anche se il sequel tenta di ricalcarne l’impianto favolistico e di riproporre al pubblico (soprattutto dei più giovani) la stessa portentosa narrazione, non ha la stessa forza. È un film imperfetto, la cui energia risiede tutta nei messaggi positivi della storia. Di fatto, il centro dell’intera operazione è proprio questo: far cambiare prospettiva agli spettatori, convincerli che c’è speranza anche quando si ha il buio dentro e attorno, ma soprattutto renderli partecipi della magia della vita, del portento del cuore umano. Ecco il suo fulcro.

Nel film, vedrete una Londra grigia, soverchiata dalla Grande Depressione degli anni Trenta e un Michael Banks, ormai adulto, che presta servizio nella stessa banca in cui lavorava suo padre e che vive ancora al numero 17 di Viale dei Ciliegi con i suoi tre figli Annabel, Georgie e John e la domestica Ellen. Sua sorella, Jane Banks è una sindacalista che si batte per i diritti degli operai e aiuta la famiglia come può, ma non è in grado di aggiustare il cuore rotto di Michael, perché dalla morte di sua moglie, ha iniziato a perdere “la bussola”. A rimettere ordine nell’animo spezzato e nelle esistenze dei giovani e grandi Banks, ci penserà proprio Mary Poppins, che ritornerà miracolosamente nella loro quotidianità per far rivivere loro la meraviglia, l’imprevedibile, l’inaspettato.

Ed è proprio il sapore della sorpresa che la scrittrice P.L. Travers volle imprimere nel libro del 1934, Mary Poppins, che in seguito fu tramutato da Disney nel celebre e summenzionato lungometraggio. Ed è proprio da questo assunto e dalla grande quantità di materiale inedito presente nei successivi sette libri, rimasti finora solo sulla carta stampata, che trae spunto Il ritorno di Mary Poppins, prodotto dallo stesso Marshall assieme a John DeLuca (Chicago) e Marc Platt (La La Land); un film che vanta anche la presenza di Angela Lansbury (un’eccentrica e fatata signora dei palloncini), e di Dick Van Dyke (Mr. Dawes figlio, ex direttore della banca).

Intendiamoci però… il lungometraggio non aggiunge nulla di nuovo a quanto già detto e visto nel capitolo precedente. Non c’è nessun Supercalifragilistichespiralidoso da canticchiare a iosa, ma ci sono tanti sottotesti didattici che in questo periodo natalizio così travagliato lasciano ben sperare, riscaldano dentro e offrono l’opportunità di volare con la fantasia, di comprendere che il dialogo, l’amore vero e l’ascolto sono fondamentali su questa misera Terra. Più che altro è l’operazione nostalgia a vincere. C’è il recupero della saggezza di un tempo, del prodigio, del concetto che noi siamo la nostra memoria. C’è il volo dell’aquilone, il ritrovamento della fanciullezza perduta, degli affetti, dei valori e dei sentimenti che contano. C’è il rombo del cannone, il sibilo il vento, l’educazione insegnata attraverso la semplicità che scatena furiosa e incommensurabile bellezza. C’è ancora la magica bambinaia che dà vita a colori, sogni, ma soprattutto all’impossibile. C’è un universo che si scontra con l’avidità degli adulti. C’è struggente emozione trattenuta negli occhi lucidi di Mary Poppins, l’unica capace di apparire e sparire in un battibaleno, perché l’amore è un dono che spesso si esprime in silenzio, tra parole piene di zucchero e gesti delicati. C’è il prezioso tempo donato, c’è la fatica di tutti i giorni, c’è la potenza della gentilezza che fa calare il sipario regalandoci nuove strade possibili. C’è un’aria di cambiamento, che spazza via la tristezza, mette il buonumore, ci fa riflettere e ci insegna a essere migliori persino nelle avversità. Ci fa comprendere che dobbiamo illuminare i nostri passi (falsi o meno) con la luce che abbiamo nel cuore, perché la resilienza umana ci salva, ci invita a non mollare e a non aggiungere buio a un mondo già buio di per sé. In definitiva, Il ritorno di Mary Poppins ci insegna a splendere. Ovunque, comunque, ma soprattutto sempre.

Silvia Casini

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