7 uomini a mollo: recensione

L’eredità lasciata da Full monty – Squattrinati organizzati parla ancora da sé, tant’è che ancora oggi escono fuori commedie che si ispirano al canovaccio di quell’opera datata 1997, rielaborando così una storia di rivalsa per uomini che rientrano nella media sociale, se non al di sotto.

E’ dalla Francia quindi che viene questa avventata voglia di riproporre tale espediente, grazie alla regia di un attore che risponde al nome di Gilles Lellouche, personaggio visto in French connection e in Separati ma non troppo, qua alle prese con una sua quarta esperienza dietro la macchina da presa (il secondo lungometraggio in verità, due rientrano come partecipazione in un paio di collettivi); ambientando il tutto nel mondo del nuoto sincronizzato, 7 uomini a mollo narra quindi di un gruppo di strambi personaggi, privi di ogni speranza, che tentano il tutto e per tutto pur di trovare i loro cinque minuti di gloria.

Ad aprire le danze è il depresso Bertrand (Mathieu Amalrci), un uomo disoccupato e privo di ogni ispirazione che, di punto in bianco, decide di iscriversi in piscina, rientrando così in un gruppo di attempati nuotatori intenzionati a portare a termine un numero come si deve.

Tra loro ci sono il taciturno Laurent (Guillaume Canet), lo scapestrato Marcus (Benoit Poelvoorde) e il musicista fallito Simon (Jean-Hughes Anglade), non tutti nel fiore dei loro anni e con vite personali ormai collassate, ma intenzionati ad arrivare fino in fondo sotto la guida della loro istruttrice Delphine (Virginie Efira).

La strada verso la vittoria sarà lunga e difficile, ma d’altronde cosa hanno da perdere nel tentare questa loro ultima carta di rivalsa.

Commedia leggera e sincera, contornata di personaggi simpatici e divertenti, sulla carta attori anche abbastanza famosi (il poker Amalric, Canet, Poelvoorde e Anglade hanno il loro richiamo, che ne voglia il pubblico italiota), 7 uomini a mollo è quello che in molti si aspettano nell’assistere ad un prodotto senza pretese, questo grazie al contesto raccontato e al sottotesto sportivo che fa sempre la sua figura in queste situazioni.

Certo, magari la durata sarebbe potuta anche essere sfoltita (ben 122 minuti), di lungaggini a riguardo ce ne sono, come anche qualche sottotrama gratuita (abbastanza inconcludente quella riguardante Poelvoorde, che a differenza delle altre non porta a granché se non alla delineazione idiota del suo personaggio), ma l’opera di Lellouche va presa veramente per quella che è, dimostrando ricchezza d’animo e sincerità narrativa nella descrizione di questi protagonisti allo sbando (anche la Delphine della Efira ha i suoi enormi problemi), senza lesinare in uno humour a tratti cattivo e, comunque, mai sopra le righe (da citare le vicende che coinvolgono l’istruttrice disabile interpretata da Leila Bekhti).

Lasciati da parte quei piccoli difetti succitati, 7 uomini a mollo è una visione ben gradita, pregna di pura voglia di rivalsa ottenuta a gran fatica, senza mai veramente lasciarsi andare in trionfalismi scontati e rimanendo perennemente con i piedi per terra, soprattutto se c’è da descrivere con verità le amarezze della vita.

Forse è un po’ troppo ricercatamente pessimista nel suo modo di porsi, ma grazie a quel suo saper far ridere facilmente tale cosa non riesce neanche ad emergere più di tanto, e questo è un punto a favore per il regista Lellouche, che alla fine non si rende per nulla scontato in questa riproposizione dei valori inneggiati in Full monty – Squattrinati organizzati; o meglio ancora in quelli che alla fine risulta essere il vero ispiratore di queste opere, ovvero il musicale Flashdance, citato bellamente nel film di Peter Cattaneo ma, in modo subdolo, anche in questo 7 uomini a mollo.

Mirko Lomuscio