Il giustiziere della notte: recensione

Negli anni ’70 la parola giustizialismo cominciava a farsi strada, prendendo piede nel cinema con un seguito tra milioni di spettatori, magari tirando fuori in loro uno spirito di vendetta annidato come fosse un qualsiasi tabù; il lungometraggio cardine di quel periodo e di questa corrente di pensiero è senza ombra di dubbio il cult movie Il giustiziere della notte, opera del 1974 tratta dal libro Death Wish di Brian Garfield e diretta dal mestierante Michael Winner.

A ricoprire i panni del tormentato protagonista, voglioso di giustizia per via di una tragedia famigliare, troviamo un iconico Charles Bronson, che nel corso degli anni tornerà in queste vesti in ben quattro sequel, tutti dovuti all’enorme successo ottenuto da questa saga.

Ora, di acqua sotto i ponti ne è passata e il cosiddetto “cinema giustizialista” ha avuto varie trasformazioni, creando titoli di successo che variano sull’argomento, buttandola anche sull’action puro; vengono alla mente esempi recenti come la trilogia cominciata da Io vi troverò, con Liam Neeson agente CIA paternamente apprensivo, o come quel Giustizia privata con Gerard Butler e Jamie Foxx, senza dimenticare il bel Death sentence di James Wan e tratto anch’esso da Garfield, dove un Kevin Bacon padre amorevole deve vendicare la morte del giovane figlio, ovviamente a suon di giustizia.

Dopo tutta questa serie di titoli realizzati, Il giustiziere della notte viene aggiornato nuovamente, in un remake ambientato ai tempi di oggi, caotici e mediaticamente trafficati di casi di cronaca nera, dove teppismo e crimini vari si fanno ancora ben sentire, proprio come una volta; regia affidata alle mani di Eli Roth, pupillo tarantiniano (era in A prova di morte e Bastardi senza gloria) autore di horror cult come Hostel e Green Inferno, mentre lo script è steso da Joe Carnahan, pirotecnico regista di film come Smokin Aces e A-Team.

Al posto del volto scolpito nella pietra di Bronson, nei panni del protagonista Paul Kersey troviamo stavolta una garanzia del cinema action come Bruce Willis, eterno John McClane della serie Die hard, qua alle prese con una forte eredità artistica che non gli sarà consentito profanare con tanta facilità

La sua storia è quella di un rinomato chirurgo e amorevole padre di famiglia, il quale all’improvviso viene coinvolto in una tragedia; sua moglie Lucy (Elisabeth Shue) e sua figlia Jordan (Camilla Morrone) vengono aggredite in casa da dei teppisti, entrati di nascosto con l’intento di rapinarle.

La cosa sconvolgerà talmente tanto la vita di Paul che lui decide di farsi giustizia da solo, aggirandosi per le strade armato di pistola e con l’intenzione di uccidere chiunque delinque per le strade di Chicago. Fino a che non incrocerà la sua strada con chi ha distrutto la sua esistenza famigliare.

Come già detto, essendo stati fatti parecchi film sul tema della vendetta e con diverse variazioni, è difficile immaginare cosa potesse uscire fuori da un ulteriore remake de Il giustiziere della notte; l’opera di Roth quindi si accontenta di dare l’essenziale, gettando Willis nella mischia tra sparatorie e scene violentissime (c’è anche un momento con tortura, simil-Hostel), riducendo però al minimo l’analisi sociale riguardante il concetto di giustizialismo e quel confine da superrare per poter raggiungere il seme di violenza essenziale.

Riguardo a ciò quindi Roth si diverte con sparatorie sanguinolente e rocamboleschi trucidi scontri, gettando nel mezzo un minimo di approfondimento con esperti mediatici che parlano del “mietitore misterioso” ma senza aggiungere nulla più rispetto all’originale (per esempio il confronto giustiziere/polizia che avviene tra Bronson e il personaggio di Vincent Gardenia qua manca quasi totalmente).

Dà l’essenziale questo Il giustiziere della notte, non esamina nulla e rimane superficialmente un action senza arte ne parte; buono per scatenare gli animi degli spettatori meno attenti in materia, ma non abbastanza riuscito da giustificarne la realizzazione.

Mirko Lomuscio