Il colore viola: recensione

Nel campo letterario Il colore viola è innanzitutto un best seller del 1982, firmato dalla scrittrice Alice Walker, vincitore del premio Pulitzer e il National Book Award, che tanto ha fatto parlare per le sue argomentazioni sulla famiglia della comunità afroamericana nei primi del ‘900; poi nel 1985, sconfinando nella settima arte, il medesimo titolo è divenuto una trasposizione che rappresentò per l’allora fantasioso cantastorie Steven Spielberg un passaggio al cinema adulto, quello più drammatico, mostrando determinate nuove velleità registiche del creatore di E.T. – L’extra-terrestre e I predatori dell’arca perduta.

In ultimo nel 2005, a cura di Marsha Norman, arriva a Broadway un musical tratto dal noto libro della Walker, facendo apprendere che determinati tragici elementi presenti tra le righe di quelle pagine possono anche essere trattati a suon di canzoni dal sound all black.

Ed ora, nell’appena passato 2023, quel medesimo musical viene portato sui grandi schermi per la regia di tale Blitz Bazawule, con in macchina produttiva il grande musicista Quincy Jones, già produttore della pellicola anni ‘80, assieme a Spielberg stesso e a Oprah Winfrey, la quale con il film del 1985 aprì la sua lunga carriera nel mondo dell’entertainment americano.

Siamo nell’America dei primi anni ’20 e la giovane Celie (Phylicia Pearl Mpasi), che fa parte della comunità afroamericana del Sud degli Stati Uniti, vive assieme alla sorella Nettie (Hailey Bailey) nella casa di famiglia, proprio sopra la loro attività che viene gestita dal burbero e severo padre.

Un giorno la ragazza viene venduta come moglie al coltivatore Mister (Colman Domingo), dovendo seguire ogni faccenda di casa e obbedire a qualsiasi ordine del suo nuovo “padrone”; tale situazione ben presto la porterà alla divisione dalla amata sorella Nettie, la quale, obbligata, scappa via lontano dalla città.

Divenuta poi adulta, per Celie (Fantasia Barrino) arriva una lunga traversata esistenziale fatta di soprusi e violenza, ma anche voglia di vivere e di attendere i tanto agognati momenti migliori, al fianco di nuove amiche come la decisa Sofia (Danielle Brooks) e la cantante Shug Avery (Taraji P. Henson), il tutto al suono di note musicali che la loro voglia di vivere porta tra le loro tragiche vicende.

In un’epoca come la nostra, che del musical spesso e volentieri ne fa un genere necessario (nonostante il grande pubblico non sempre dà grande riscontro) e della voglia di rivendicare i diritti di una volta ne fa un (giusto) bisogno primario, riproporre Il colore viola della Avery al cinema è stata forse un’idea necessaria, cercando di portare note di sana musica tra le parentesi drammatiche di questa epopea ricca di speranza.

Quello che però viene fuori dall’opera di Bazawule è una specie di ibrido che mischia due visioni a se stanti; da una parte abbiamo una sorta di remake duro e puro del film di Spielberg, tanto da riprenderne anche delle fedeli inquadrature e tagli fotografici, mentre dall’altro ci sono inserti musicali, a tratti onirici, che in fin dei conti non proprio ben si amalgamano con la storia in sé, nonostante il successo dello spettacolo a Broadway.

Il colore viola del 2023 è un lungometraggio che guarda sì bene al culto della sua matrice letteraria, ma riporta anche quel tipo di messaggi che già il buon Spielberg era riuscito a mettere in scena nel suo indimenticato film, quindi nulla di nuovo sotto quel punto vista; insomma ci troviamo di fronte ad un film musical che quel buono che ha lo trova in cose già sperimentate nel film dell’85 ma che, comunque, regala delle belle performance da parte della Barrino, di Domingo e della Brooks.

Dando ai fan duri e puri del film di Spielberg anche una piccola apparizione a sorpresa, seppur poco significativa, di Whoopi Goldberg.

Ci si può accontentare, seppur l’opera della Avery avrebbe meritato maggior attenzione da parte di una nuova trasposizione come questa.

Mirko Lomuscio