Hill House: recensione

Forse una delle serie Netflix horror più apprezzate negli ultimi tempi,  Hill House è l’esempio calzante come il paranormale sia metafora dell’abisso dell’animo umano nei racconti del terrore. Come avevamo affrontato nei focus precedenti, da sempre l’essere umano ha usato il fantastico come mezzo per descrivere e affrontare la realtà. Qui i fantasmi sono una scusa per rappresentare il trauma di un lutto che da sempre ha tormentato la famiglia protagonista: la morte della madre.  Essi rappresentano anche i tormenti, le paure e i desideri che ogni personaggio si porta per tutta la vita. Sotto questo punto di vista, la serie può essere analizzata sia dal piano paranormale che da quello psicologico.

Tutto parte dal romanzo del 1959, noto in italiano come La casa degli invasati (in inglese The Hounting of Hill House) un classico della letteratura horror e gotica moderna, dal quale è stato il primo film del 1963, diretto dal pluripremiato regista Robert Wise.  Questa volta il regista Flanagan de Il gioco di Gerald, non si attiene fedelmente alla trama del romanzo, ma la sfrutta per creare qualcosa di nuovo, pur mantenendone lo spirito e diverse citazioni (come il personaggio di Theodora, sensitiva lesbica, divenuta nella serie la sorella mediana della famiglia).

La trama ruota attorno ad una notte drammatica: un padre esce dalla propria casa, portando con sé i figli sconvolti. Nessuno sa cosa sta succedendo, a parte il genitore, mentre qualcuno si affaccia alla finestra, osservandoli allontanarsi dalla casa. Il giorno dopo i bambini apprendono della morte della madre.

L’intera serie si concentra sull’elaborazione del trauma sviluppato da ogni fratello: c’è chi si droga per dimenticare, chi soffre di depressione, chi è cinico e materialista. Tutti internamente soffrono per la morte della madre e per il silenzio del padre. Qualcosa di terribile è successo quella notte, ma il segreto è così terribile da impedire al genitore di rivelare la verità, almeno finché morte della sorella più piccola non li costringerà a confrontarsi di nuovo con la casa e con gli orrori che si celano in essa.

Come detto in precedenza, i fantasmi non sono nient’altro che metafore del dolore interiore delle persone. Come disse il fratello maggiore,  Steven, gli spettri sono i nostri desideri ed i nostri sogni.

Inoltre, come nel romanzo, vi è la tematica della dimensione senza tempo, dove il passato, presente e futuro non contano per i morti. La casa è un’entità che assorbe le persone e le rende estensione di sé, ma rappresenta anche i ricordi dolorosi legati alla madre ed il mistero della sua morte.

Parlando dell’aspetto grafico, il regista si è divertito ad inserire diversi fantasmi nascosti in secondo piano, notabili solo da un occhio attento, pare una citazione alle foto che spopolano su internet, con diverse persone con spettri nascosti negli specchi o sotto il tavolo.

La famiglia è la vera protagonista della storia: ogni membro, da quelli vivi a quelli morti, è ben caratterizzato e ha lasciato la propria impronta sugli altri. Interessante è anche notare come ogni personaggio abbia elaborato il lutto a suo modo, rendendo realistica la loro evoluzione. Come in ogni famiglia, i fratelli nascondono segreti e ripicche, ma sarà dopo la morte della sorella minore (avvenuta nel primo episodio) che decideranno di fronteggiare assieme il proprio dolore. Non è un caso, in quanto  Eleanor “Nell” era la sorella che più di tutti era legata alla famiglia e in un certo senso anche nella morte cerca di riportare amore a fiducia tra i fratelli e il padre. Eleanor, proprio come la protagonista omonima del romanzo, è quella più provata psicologicamente ma anche la chiave per scoprire il segreto della casa.

La madre, Olivia, rappresenta l’amore materno, ma anche la paura che un genitore prova verso i pericoli del mondo che potrebbero rovinare i figli. E proprio le sue paure la condurranno ad una tragica fine, oltre che a rovinare la vita degli altri. Un po’ come la fiaba del leone dipinto: per quanto il re cercasse di proteggere il figlio, più lo faceva, più quest’ultimo voleva evadere fino ad incappare in un mortale destino.

Hill House è un horror psicologico ben costruito: le prime cinque puntate sono dedicate a ogni fratello, per esplorare il loro punto di vista, mentre quelle successive fungono da indagine fino al climax della verità.

Lo consigliamo per chi ama i fantasmi e la tensione, ma soprattutto per chi odia i soliti “jump scare” e vorrebbe vedere qualcosa di qualità.

Debora Parisi

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