Hellboy: recensione

Orfano della visionarietà del regista Guillermo Del Toro, autore ormai orientato verso operazioni più ambiziose (recente il suo premio Oscar per La forma dell’acqua), Hellboy, personaggio dei fumetti nato dalla mente di Mike Mignola, è ora protagonista di un nuovo reboot cinematografico che tenta di ricostruire da zero un nuovo universo su grande schermo di questo singolare supereroe infernale, caratterizzato dalle sue corna piallate; quindi, fuori il precedente Ron Perlman, a vestire i panni del nostro protagonista troviamo ora invece il lanciato David Harbour, recentemente visto nella serie tv di successo Stranger things, coperto da il consueto make up che lo trasforma nell’indiavolato personaggio creato da Mignola e intento a voler regalare ai numerosi fan delle strisce un qualcosa che sia all’altezza della situazione.

Al posto dello sguardo al di là di oltre l’immaginazione del messicano Del Toro, nel nuovo Hellboy troviamo ora l’impatto visivo dell’inglese Neil Marshall, autore di indimenticabili horror come Dog soldiers e The descent – Discesa all’inferno, scelta che quindi dovrebbe almeno dare dei semi interessanti sul nuovo modo di porsi di questo reboot.

Ufficiale al servizio del BPRD (Bureau for Paranormal Research and Defense), l’agente proveniente dagli inferi Hellboy (Harbour) è uno dei migliori nel suo campo, invocato decenni fa e poi adottato in giovanissima età dall’umano professor Broom (Ian McShane).

I suoi metodi non sono sempre ortodossi ma i risultati almeno si vedono, tra una pericolosa missione ed una scazzottata con qualche demone; ma da un’epoca lontanissima ecco risorgere una forza maligna potente.

La strega Nimue (Milla Jovovich), creduta ormai morta da lunghissimo tempo, torna in vita con l’intenzione di voler far calare le tenebre sull’intero pianeta ed una volta ricongiunta ai suoi pezzi sparsi per il globo utilizzerà i suoi poteri per tale scopo; ma non ha fatto i conti con Hellboy, che senza alcuna paura si avventurerà in questa nuova missione per conto delle forze del bene.

Certo, il lavoro di Del Toro con i suoi precedenti film è ancora là che parla da solo, grazie a due decenti lungometraggi che sprigionano tutta la sua forza visiva (ma sulla scrittura però c’è qualcosa da rivedere), ed avere dei forti pregiudizi riguardo a questo nuovo reboot è più che lecito, ma c’è almeno da dire che a conti fatti questo Hellboy riveduto ha un suo carattere e una personalità tutta da vendere.

Non all’altezza del dittico che lo precede, il film di Marsahll si dimostra essere comunque un prodotto che sprigiona vogliosa rozzezza visiva, un appuntamento per gli amanti del fumetto sporco in poche parole, mostrando di minuto in minuto anche una certa violenza estrema in alcuni frangenti.

Forse non è completamente riuscito sul piano tecnico, mostrando qualche punto debole a riguardo (il trucco di Harbour è approssimativo e come anche determinati effetti CGI), ma in conclusione si può dire di aver assistito ad un sincero divertissment estremizzato ad essere un film puramente di genere, che non si ferma neanche di fronte alla sua natura di prodotto fatto per le masse (difficile pensare che non abbia qualche divieto in sala, scene forti ce ne sono), anche se ci mette un po’ ad ingranare, perché la prima parte non è proprio così coinvolgente.

Harbour si cimenta in un ruolo che cerca di confermarlo come attore a tutto tondo, ma ammettiamo che Perlman era tutt’altra cosa, mentre la Jovovich gioca ad interpretare questa villain esoterica sfoggiando la sua spigolosa bellezza, affiancata per l’occasione da un mostro metà uomo, metà cinghiale (di nome Gruagach), che avrebbe fatto invidia al Bepop nemico delle Tartarughe ninja.

Tirando le somme il nuovo Hellboy mostra una natura ancora più dark su grande schermo di questo eroe infernale, lontano dalla visione di un Del Toro ma comunque ben caratterizzato dal Marshall touch, autore che non si è mai fatto il problema di premere il pedale del raccapriccio quando serve.

Neanche in questa occasione.

Mirko Lomuscio