Gun Frontier in dvd: recensione

Prima dell’avvento di Capitan Harlock, ancor prima di Galaxy Express 999, Leiji Matsumoto aveva scritto un brevissimo manga (3 volumi) che raccontava le vicende di un antenato del pirata più famigerato dello spazio.

Seconda opera del pluripremiato mangaka, Gun Frontier è stato scritto nel 1972, e da esso è stato tratto un anime prodotto dalla Yamato, nel 2002.

Vero protagonista di questa serie ambientata nel selvaggio west, in una regione denominata appunto Gun Frontier, è il basso e simpatico samurai Tochiro Oyama, il cui intento è quello di trovare i superstiti di Samurai Creek, un villaggio di profughi samurai distrutto da una misteriosa Organizzazione. Ad accompagnarlo nelle sue avventure sarà il suo migliore amico, Franklin Harlock Jr., un ex pirata ora pistolero vagabondo, di poche parole e rapido con la pistola. Nel primo episodio della serie i due amici accolgono nel loro gruppo la misteriosa Sinunora, donna affascinante e restìa a raccontare il suo passato.

Si nota come, in quest’anime così come nel manga si sia voluto omaggiare il genere western, accompagnandolo in maniera fluida con quello jidai-jeki, cosa non nuova, tentata già da diversi registi al tempo dell’autore (Sole Rosso; Il Bianco, il giallo e il nero). I due stili non sembrano assolutamente fuori luogo assieme, così come i personaggi di Tochiro e Harlock si accompagnano a vicenda nei loro viaggi. Viaggi che si susseguono in un’ambientazione forse un po’ spoglia e con setting quasi sempre uguali, ma è la norma nel genere western. Le musiche lente e malinconiche in sottofondo contribuiscono a donare quel senso di tristezza e delusione in un’epoca dove è il più forte a sopravvivere, e il giusto perde.

Nota di merito al doppiaggio italiano, soprattutto ad Alessandro Maria D’Enrico nel ruolo di Harlock. Paradossale il fatto che, negli ultimi anni, sia diventato famoso per aver doppiato un altro famoso pistolero “western” della cultura pop (McCree in Overwatch).

I difetti di quest’anime sono due, in particolare, sia propri dell’anime sia collegati al manga.
Il primo è palese: lo “stile Matsumoto” è invecchiato male. I personaggi secondari sono sempre disegnati come fossero quasi scarabocchi, con occhi sproporzionatamente piccoli e teste gargantuesche. Le donne, tolti i colori dei capelli e le pettinature, sono tutte uguali, con gli stessi lineamenti e occhi. Si sperava che, dopo trent’anni, avessero “modernizzato” lo stile almeno per una trasposizione animata.

Oltre a questo, vi è un’eccessiva presenza di fanservice, legata soprattutto al personaggio di Sinunora, che non manca di spogliarsi, o essere spogliata, in ogni singolo episodio, accompagnata diverse volte da altre figure femminili. Tali scene di nudo dopo i primi cinque episodi iniziano già a stancare, e la cosa è sottolineata da un accenno di stranezza data la mancanza effettiva di… capezzoli. Forse si voleva accentuare il maschilismo proprio del genere western, ma si sa, il troppo stroppia.

L’altro difetto, purtroppo, è la presenza di un finale tronco. Non un finale aperto come quello di Capitan Harlock, che dà un necessario senso di incertezza, poiché anche il destino della razza umana è incerto. Gun Frontier invece si chiude con un cliffhanger che lascia spazio ad un sequel, con ancora molte domande senza risposta e un senso di incompletezza, ingrandito oltretutto dalla mancanza di una serie sequel.

Oltre queste pecche, Gun Frontier è una buona serie. Non un capolavoro né uno dei migliori lavori del maestro Matsumoto, ma un anime che si lascia guardare, soprattutto per chi è fan del genere western, e che in certi punti… colpisce al cuore.
Perché questa è Gun Frontier. Lonely road.

 

Andrea De Venuto

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