Gli occhi invisibili del destino: intervista esclusiva a Silvia Casini

Dopo la laurea in Lingue e Letterature Straniere, Silvia Casini ha ricoperto il ruolo di project manager presso l’Istituto Internazionale per il Cinema e l’Audiovisivo dei Paesi Latini di Gillo Pontecorvo e Sandro Silvestri. Si è occupata di relazioni internazionali e della promozione dei film italiani all’estero. In seguito, si è specializzata in marketing strategico e ha iniziato a collaborare con diverse case di produzione e distribuzione cine-tv nel settore del product placement e del co-marketing. Attualmente è consulente per Echo Group s.r.l. nell’ambito del product placement, del co-marketing e del media scouting. Negli anni, ha collaborato con diverse testate giornalistiche e siti web, come Youmovies.it, DirettaNews.it, CheDonna.it, UniversoMamma.it, PianetaDonna.it, Girlpower.it, PianetaMamma.it, Tevere Notizie, Empire Magazine Italia, Vox Roma, Pink Italia Magazine, ecc. Ha pubblicato Magia e altri amori. Pensieri e micro-racconti strampalati alla fermata del treno (Edda Edizioni), L’appendifiabe (Nadia Camandona editore), Tutto in una notte (Libro/mania – DeAgostini/Newton Compton), Di magia e di vento (Antonio Tombolini editore), Il gusto speziato dell’amore (Leggereditore), L’astro narrante (Fanucci) e Gli occhi invisibili del destino (Golem edizioni).

Proprio per questa sua ultima opera l’abbiamo intervistata per conoscere meglio il personaggio di Eilis.

Eilis Rush ha occhi molto particolari: verdi, striati di grigio, giallo e blu notte, ma soprattutto nascondono un segreto. Lei è una giovane studentessa diciassettenne che, dopo un incidente automobilistico, dove i suoi genitori hanno perso la vita, dall’America è venuta a vivere a Roma. Va a stare da sua zia Clara che gestisce il negozio esoterico “Filincanto”. Eilis ha un’amnesia parziale a causa del trauma subito e non riesce a ricordare molti dettagli del suo passato, in compenso ha strane e inquietanti percezioni, così sua zia la porta da uno psichiatra. In sala d’attesa, Eilis legge su un giornale che a piazza Barberini, nella fontana del Tritone, è stato rinvenuto il cadavere di una donna. Inizia così una strana e straordinaria avventura che la vede collaborare con Luca Marra, giovane poliziotto, per scoprire cosa si cela dietro una misteriosa serie di delitti dalle connotazioni esoteriche e, al tempo stesso, conoscere la verità sulla propria storia, sulla morte dei suoi genitori, sulle sue strane visioni e, magari, imbattersi nell’amore. Vero.

Roma era una città di alchimisti e sognatori, i cui sampietrini erano stati un tempo calpestati da imperatori, maghi, mistici ed eserciti invasori. E ora, le case scintillavano d’argento, di rosso carminio e di azzurro pastello e le cupole delle chiese si ergevano maestose a regalare agli uomini la vista degli angeli. Il vento, invece, portava con sé il ricordo di magie, incantesimi, suoni e colori. (pg. 75) Roma è protagonista, assieme a Eilis, del libro. Si potrebbe anche dire che le due figure sono collegate, perché come Eilis l’Urbe mostra molteplici lati di sé: quello luminoso, visibile a tutti, della capitale turistica; quello più oscuro fatto di pericoli, brutalità e quartieri periferici; e, infine, quello magico, segreto, che si snoda tra i vicoli di una città che fa bella mostra di sé, ma tiene da parte qualcosa solo per chi è capace di guardare. Come mai hai voluto sviluppare questo parallelismo tra Eilis e Roma, fino a renderle due elementi compenetrati?

Gli occhi di Eilis non hanno un colore indefinito. Sono verdi-grigi, con striature gialle. Hanno lo stesso concetto di base di Roma. Sono portatori di bellezza e decadenza. Sono meravigliosi e inediti, talvolta oscuri, proprio come la Città Eterna. Nel libro la Capitale è descritta con le sue zone di luce e d’ombra. È diversa, suggestiva, ma anche spettrale e sconosciuta, e i luoghi descritti diventano personaggi della storia narrata perché hanno un’anima, una voce.

Ogni volta che compongo una frase, vedo la forma delle lettere, della matrice che sta per cadere, poi penso a quanto spazio occuperà nei ventotto punti e se dovrò troncarla, ma quando mi rendo conto che ci va tutta, mi rende felice. È come avere un’intera riga fatta appositamente per quella giustezza. Ogni volta, osservo la corsa delle matrici che cadono nel compositoio, sento il suono metallico dell’ottone sul ferro ed è sempre un’incertezza. Posso solo sospettare di farcela, oppure no… allora, studio la spaziatura. Tu dovresti fare la stessa cosa… osserva bene, Eilis. Il tuo diario ti condurrà alla verità. Non devi avere paura del tuo passato, né dei ricordi. Anzi… ci sono risposte, spazi e parole fatti appositamente per la tua giustezza, per la tua vita. (pg.151) In questo pezzo hai espresso dei concetti importanti: il bisogno di trovare il proprio spazio nel mondo e la forza della parola. Parola che è relazione, definizione, struttura stessa del mondo. Non per nulla, nella Bibbia stessa s’apostrofa: «In principio era il Verbo». Quale importanza ricoprono per te, scrittrice, la parola e la comunicazione che essa permette? E in che modo questo ha definito Mr. Fumo, che è un tipografo, un ordinatore di parole, ma non creatore di queste?

Ho sempre scritto sin da piccola. Mia madre mi chiamava Jo, come la Jo March di Piccole donne. Scrivere e respirare sono la stessa cosa per me. A mio avviso le parole sono potenti, perché arrivano dritte al cuore. Possono essere un’arma se usate per ferire o una carezza se espresse con gentilezza. Sono un prodigio. La citazione che hai fatto è calzante perché l’Apostolo Giovanni ci dice che “in principio”, ossia prima della creazione del mondo, prima di ogni cosa, esisteva il Logos, ovvero “la Parola”. Il Verbo era pertanto pre-esistente ad ogni cosa. Era la Causa Prima. E se ci pensi bene, la parola è molto più di un semplice mezzo di comunicazione, dà forma alle nostre credenze, sentimenti e alle nostre azioni. È uno dei più potenti strumenti che possediamo; può infiammare una conversazione oppure sciogliere le tensioni, può chiarire o confondere, aiutare o ostacolare, costruire o abbattere. Il problema è che spesso il suo potere viene sottovalutato. In una conversazione, la parola ha il potere suggestivo di condizionare i sentimenti dell’interlocutore in maniera positiva o negativa. Nel libro la parola benefica, quindi la via della luce è rappresentata da Mr. Fumo. Per idearlo mi sono ispirata a una persona realmente esistente ovvero a un linotipista di Napoli, la cui bottega si trova nella zona antica, precisamente in via Anticaglia, una parallela di Spaccanapoli; sulla porta è scritto Tipografia del ‘900 – Officina d’arti grafiche e si sente il rumore di un macchina di ferro e l’odore di inchiostri e solventi. Me ne sono innamorata, perché ha trovato la poesia nel ferro, un posto impensabile. È un fuorilegge perché fa un lavoro che non è più a norma. I suoi caratteri tipografici sono emblema di resilienza. Lui incide come i primitivi nelle caverne. Imprime, resiste. Compone parole, le mette in fila, in riga, le fonde e le stampa. Il suo è un atto d’amore. Talvolta le imprime persino su carte stampate con chicchi di caffè, nocciole, ecc. Entrare nella sua bottega significa giungere in un altrove surreale, magico.

Di che sapeva il tempo? Di polvere, di orologi e di gente morta. E da dove veniva? Dai recessi di una grotta, fatta di voci querule e di respiri. Era come assistere alla visione di pezzi di vetro in cui immagini e ricordi si riflettevano senza sosta. Era come sentir crescere dentro di sé una marea di palloncini. Così, era il suo tempo: pieno e gonfio. (pg 165/166) La scansione del tempo ha un significato importante per Eilis, non solo per l’alternanza tra il giorno e la notte, le luci e le ombre, ma anche nel passaggio tra la dimensione magica e quella reale. Che significato ha il tempo all’interno del tuo libro?

Scandisce l’anima della protagonista che per avere coraggio deve affrontare la paura e quindi buio/ombra/notte sono il clic che fanno leva su Eilis per trovare l’ardore, luce/sole/giorno è la sua stasi, il momento per riflettere e ponderare. Quindi il tempo è fisico, ma anche intimo.

Eilis, invece, era di nuovo viva dopo un’altra notte. E per lei, notte significava buio. Buio significava mondo oscuro. Mondo oscuro significava creature invisibili. E alla fine, tutto questo nero significava che la caccia doveva continuare. E se gli spiriti andavano a caccia di fate streghe, i suoi occhi andavano a caccia di demoni, di ombre e della verità. Il suo coraggio era tutto lì, nella certezza che il successo era figlio del tentativo. Ed Eilis ci provava, sempre. Per lei, era meglio perdersi sul cammino, piuttosto che non partire mai. (pg. 202) La caccia da te citata sembra richiamare il mito della “caccia selvaggia”, originario della Germania e della Britannia, un patrimonio comune del folklore europeo, che ha come fulcro una caccia forsennata i cui testimoni sono destinatari di sventure e catastrofi, quando non uccisi e posti all’interno dei morti che compongono la schiera dei cacciatori. In qualche modo, Eilis è contemporaneamente preda di notte e cacciatrice di giorno. Quanto il mito e il folklore hanno influito sullo sviluppo della storia?

Nel libro precedente Di magia e di vento avevo affrontato il tema dei benandanti, alla lettera buoni camminatori. In pratica, erano gli appartenenti a un culto pagano-sciamanico contadino basato sulla fertilità della terra diffuso in Friuli, intorno al XVI-XVII secolo. I benandanti erano coloro che nascevano ancora avvolti nel sacco amniotico, ovvero i nati con la camicia, i fortunati, i privilegiati. La levatrice conservava una piccola parte del sacco amniotico, che nei mesi successivi veniva benedetta, posta in un sacchettino da appendere al collo del neonato come un amuleto benefico e protettore. Al raggiungimento della maggiore età, il giovane benandante era in grado nelle notti delle quattro tempora (quattro stagioni) di uscire dal proprio corpo sotto forma di spirito durante il sonno. I benandanti combattevano le influenze malvagie delle streghe curando le persone colpite da malocchio, da incantesimi e collaborando con le tante guaritrici e guaritori che popolavano la campagna friulana, perché erano molti coloro dotati dei prehenti, i poteri per il bene delle persone da risanare. Se però il benandante perdeva il suo amuleto con la placenta non godeva più di alcun potere. Un altro dei poteri dei benandanti era quello di vedere i morti in processione e ascoltare i loro messaggi durante la processione dei morti, l’esercito furioso, o la caccia selvaggia. Fra 1575 e 1675 i benandanti furono decretati eretici dalla Santa Inquisizione. Invece, ne Gli occhi invisibili del destino ho voluto donare alla protagonista che è tutta incline verso la luce il dono carismatico del discernimento degli spiriti, che è un’illuminazione divina. Si ha la capacità di vedere Bene e Male. Ho volutamente contrapposto una Roma esoterica, quindi un’entità astratta come la metropoli tentacolare, a un’eroina spirituale. È tempo di reagire e di rivedere il proprio rapporto con la vita, troppo legata a degli aspetti edonistici, consumistici e materialistici che hanno addormentato la profondità della mente umana e tranciato la sua meraviglia naturale. Bisogna interrogarsi con serietà sullo sfaldamento dei valori fondamentali che oggi interessa un quadro sociale piuttosto compromesso. Ogni valore è un sicuro accesso alla dimensione trascendentale che sovrasta la materialità con cui convive ogni uomo. Senza valori si bloccano gli aspetti essenziali del bene morale e l’amore è la risposta a ogni cosa. Eilis lo capirà e amerà fino in fondo.

Giulia Manzi

© Riproduzione Riservata