Finché morte non ci separi: recensione

Nel regno dell’horror non c’è cosa che possa ispirare più di tutto un autore esperto nel genere di un gioco portato a livelli mortali; ne sanno qualcosa i quiz assassini di Saw – L’enigmista, artefici di morti che dire spettacolari è dire poco, ed ora cercano di ricordarcelo gli autori di questo singolare Finché morte non ci separi, nuovo lungometraggio ad opera dell’accoppiata di registi composta da Matt Bettinelli-Olpin e Tyler Gillett, cui dobbiamo un paio di titoli come il P.O.V. La stirpe del male e il collettivo Southbound – Autostrada per l’inferno.

La loro ultima creazione mette al centro della propria trama un gioco infantile come nascondino, messo in atto da un gruppo di persone facenti parte di una qualche setta diabolica, pronta ad uccidere chi perderà a competizione finita; la vittima in questione è la giovane Grace (Samara Weaving), neo moglie del ricco rampollo Alex Le Domas (Mark O’Brien), la quale, dopo aver festeggiato le nozze nella lussuosa villa appartenente alla famiglia di lui, casata creatrice di famosi giochi di società, dovrà partecipare ad un particolare passatempo.

Dopo aver svolto una scelta fondamentale, ecco che Grace si troverà costretta a doversi nascondere nei meandri più oscuri della villa, fino a che non faccia l’alba; le regole sono semplici, se lei viene trovata verrà uccisa, come da tradizione ormai succede per i nuovi arrivati a casa Le Domas.

La lotta per la sopravvivenza sarà lunga e tortuosa, soprattutto non priva di qualche inaspettato risvolto sanguinolento.

Lontano dai soliti esorcismi, bambini indemoniati e titoli che troneggiano “tratto da una storia vera”, i quali ormai militano senza idee il cinema del terrore attuale, questo Finché morte non ci separi si presenta al grande pubblico in tutta la sua vena intrattenitrice, basandosi esclusivamente su un plot molto facile ma dallo svolgimento che a tratti ha del geniale; il duo Bettinelli-Olpin e Gillett innanzitutto la butta sul ridere, ma non in modo altamente da parodia come ormai alcuni horror agiscono giusto per gettarla in burletta, bensì condensando adeguatamente il contesto descritto (una grande casata aristocratica, facciata di un tenore di vita capitalista) con il raccapriccio delle varie morti splatter che avvengono, uniformando così un contesto folle che fa solo del bene allo svolgimento di Finché morte non ci separi.

E’ la consueta lotta tra ricchi e poveri quella mostrata in questa pellicola, un modo per celare sotto una visione di buon intrattenimento una metafora sociale ancorata ai tempi di oggi, dove la linea sottile del benestante che uccide il proletario è sempre più sottile, anzi, sempre più inesistente; ce lo disse Eli Roth nel mezzo del 2000 con i suoi Hostel e poi lo ha ribadito anche il serial di James DeMonaco iniziato con La notte del giudizio, titoli a cui Finché morte non ci separi si accoda degnamente, con qualche riferimento al piccolo You’re next di Adam Wingard, dando un contributo notevole sia alla black comedy che al cinema horror affiliato al genere slasher.

Nel cast, oltre ai giovani funzionali protagonisti Weaving e O’Brien, anche la presenza guest di Adam Brody, Henry Czerny e Andie McDowell, presi a ricoprire il convincente ruolo di appartenenti alla ricca famiglia Le Domas.

Finché morte non ci separi è una visione ben consigliata per chi ha voglia di qualche sano brivido all’insegna dell’originalità.

Mirko Lomuscio