Ferdinand: recensione

Facendo un salto all’indietro, precisamente nel 1938, va ricordato un cortometraggio animato chiamato Ferdinando il toro, un filmato di circa 8 minuti prodotto dalla Walt Disney che vinse il premio Oscar agli Academy Awards dell’epoca; la breve storia, tratta da un libro di Munro Leaf del 1936, è quella di un toro dai metodi docili, amante della natura e dei fiori, che improvvisamente viene punto da un’ape, la quale lo trasforma in un animale inferocito, portato più che altro a far danni.

Da quelle immagini rimaste impresse agli occhi di milioni di spettatori, ecco che la Blue Sky, casa di produzione a cui dobbiamo la saga de L’era glaciale, tira un fuori un lungometraggio tutto nuovo dalle buone premesse, costruendo attorno al suddetto singolare protagonista un film d’animazione moderno, arricchito ovviamente dalla solita ironia di oggi.

E’ con Ferdinand che allora viene fuori un omaggio ex-novo del toro più docile del mondo, utile per tirar su una trama tutta ecologia, animalismo e pacifismo, che in questi casi fa sempre la sua buona figura davanti a grandi e piccini; regista del lungometraggio un componente fisso della Blue sky, ovvero quel Carlos Saldanha già presente nella realizzazione del primo capitolo de L’era glaciale e poi anche regista di titoli come il dittico Rio.

E’ un amante della natura, adora i fiori e non farebbe del male neanche ad una mosca; il toro Ferdinand non è quello che si usa dire il migliore esempio della sua razza animale, dato che solo i più feroci e possenti di loro vengono considerati per essere esibiti nelle più grandi arene.

Suo padre è stato uno dei migliori in campo, lasciando un segno nella tradizione taurina, ma Ferdinand, cresciuto col passar del tempo, viene allevato dalla piccola Nina e reso un animale domestico, lontano dalle tradizioni del regno delle sanguinose corride.

Questo fino a quando il nostro protagonista non torna nella casa dei tori dove è nato, costretto quindi a fuggire per ritornare tra le braccia della sua giovane padroncina.

E ad aiutarlo ci sarà un gruppo di nuovi e vecchi amici animali.

Sarà che il soggetto su cui si basa il film di Saldanha era fin troppo poca roba, d’altronde pur sempre di un filmato di soli 8 minuti stiamo parlando, ma Ferdinand non sembra essere un cartone animato che regge tutta la sua lunga durata (un’ora e cinquanta minuti) con grande creatività narrativa.

La storia è molto esile e tutto si incentra sulla delineazione dei vari personaggi animali, abitanti dell’universo che contornano il nostro eroe; ci sono la capra Lupe, i porcospini Una, Dos e Quatro, i cavalli Hans, Claus e Greta, il cane Paco e i tori Valiente, Angus, Guapo e Bones.

Un gruppo di animali allegri e fracassoni, tipici della cinematografia animata di oggi, tra battute fulminanti e gag slapstick, elementi che si considerano essere ormai fondamentali e vincenti per costruire un’opera simpatica a tutti gli effetti, ma che invece, a lungo andare, stuccano nella loro ripetitività e poca originalità (la gara di ballo tra animali è cosa fuori trend ormai, anche per un cartone).

Con Ferdinand siamo dalle parti di un film tirato per le lunghe e forzatamente simpatico, non proprio al di sotto della media di questi prodotti, ma che alla fine dei fatti si limita lanciare un messaggio animalistico ed ecologista indirizzato ad un pubblico, non di grandi e piccini, bensì di vegani e ambientalisti.

Mirko Lomuscio

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