Encanto: recensione

Si avvicina il Natale e quello che non può mancare nelle grandi sale, nonostante limitazioni pandemiche ed eventuali conseguenze a livello restrittivo, è la presenza di uno dei grandi classici Disney, una tradizione che mai dovrebbe affievolirsi e che quest’anno, per l’occasione, si presenta con una pellicola tutta nuova dal respiro sudamericano, Bolivia per la precisione, narrando una fiaba che prende i connotati da una musicalità latinoamericana.

Per la regia del duo composto da Byron Howard e Jared Bush, cui dobbiamo già il riuscito Zootropolis, più l’apporto co-registico dell’esordiente Charise Castro Smith, ecco quindi prendere vita Encanto, la storia di una famiglia boliviana, i Madrigal, la quale vive nel mezzo di un luogo incantato, dentro ad un’abitazione costruita con la magia.

Ognuno di loro ha una qualità particolare, fatata, essendo muniti di poteri magici che ne scaturiscono il proprio diverso carattere; tutti loro, tranne la giovane Mirabel, che prende con filosofia questa assenza di doti particolari, rendendosi utile ai suoi numerosi famigliari in qualsiasi situazione.

Ma un giorno la ragazza riceve un messaggio oscuro, qualcuno la avverte che ben presto la famiglia Madrigal sarà divisa da una maledizione, che minaccia di cancellare a tutti gli effetti la magia che aleggia tra di loro.

Scavando nel passato dei suoi avi, Mirabel tenterà il tutto e per tutto per evitare questo maleficio, andando incontro ad un’esperienza che la metterà di fronte ad una realtà inaspettata.

Concepito e realizzato proprio con tutti i principi che hanno uniformato per tempo i grandi classici Disney, Encanto è un’opera che nella sua narrazione diventa una lunga e continua ballata, fatta di buoni sentimenti e vero ottimismo, lanciando il suo messaggio di speranza con una storia che parla di amori famigliari e tradizioni da rispettare nel tempo.

Oltre a ciò però il film del trio Howard, Bush e Castro Smith non ha altro da mostrare, appoggiandosi su una narrazione che fa del cantato il suo punto di forza, tanto da lasciare che siano le parole musicate stesse a narrare il meglio ed il fondamentale della trama, senza però dare grande solidità alla sceneggiatura del film, che a tratti risulta tirata per le lunghe.

E dato che sono le canzoni a contare innanzitutto, è giusto menzionare il lavoro di Lin-Manuel Miranda, il quale per l’occasione realizza una sfilza di componimenti che risultano essere il succo dell’intera operazione, col difetto però che a lungo andare la cosa potrebbe anche stancare, sembrando solo un mero espediente per coprire alcune mancanze di idee e risultando ingombrante per la narrazione dell’opera.

Certo non è un film da buttare Encanto, questo è poco ma sicuro, soltanto che stavolta la nota casa dello zio Walt tira su un lungometraggio che dà l’essenziale e niente più, senza ulteriori sviluppi a cui ci avevano abituato fino ad oggi ed appoggiandosi di conseguenza ad alcuni elementi già notati in altre opere passate (il discorso sull’amore tra sorelle come era già avvenuto in Frozen – Il regno di ghiaccio).

Volendo magari essere un omaggio al colorato mondo della tradizione musicale latinoamericana (ed il coinvolgimento dell’americano di origini portoricane Miranda la dice lunga, tant’è che autore anche del soggetto) l’operazione può anche andare, ma questa intenzione non completa del tutto la visione finale che, a conti fatti, rimane tronca di una certa solidità narrativa, ancorando il risultato sulla modesta qualità.

Mirko Lomuscio