Disincanto: recensione

Netflix ha finalmente pubblicato, il 17 agosto scorso, la nuova serie animata del pluripremiato Matt Groening, creatore già de I Simpsons e Futurama; tale è Disincanto, costituita da 10 episodi della durata di circa mezz’ora ciascuno.

La storia si svolge in un’ambientazione fantasy, nell’immaginario mondo di Dreamland, dove la principessa Beam, una ragazza irriverente, alcolizzata e desiderosa di cacciarsi continuamente in un guaio peggiore dell’altro, è costretta a sposarsi con una persona che non conosce, oltre ad obbedire continuamente ai severi ordini del padre. Per questo desidera andarsene dal castello e vivere la sua vita. Nelle sue peripezie sarà accompagnata da Luci, un demone legato eternamente a lei, e l’elfo Elfo, che al contrario del suo felice e spensierato popolo, desidera, proprio come Beam, una vita piena di pericoli.

Come si è potuto intuire, la trama non è delle più originali, si è già vista più volte, soprattutto nel fantasy: la ragazza che vuole vivere avventure, intenta a scappare dalla monotonia di tutti i giorni, ma che è compresa solo da emarginati come lei. Davvero un peccato vedersela nuovamente davanti in un’opera di uno dei rivoluzionari del genere animato.

Poteva essere interessante vedere questo cliché venir preso in giro o ribaltato in un’altra prospettiva, com’è tipico della parodia, ma in Disincanto la frustrazione di Beam viene presa sul serio più volte, ed è il fulcro di praticamente ogni episodio.

A ciò collegato, ci si aspetterebbe una parodia cattiva, o quantomeno scherzosa e inaspettata, del genere, come Groening fece a suo tempo con Futurama, invece già dai primi episodi ci si trova con situazioni prevedibili, a volte battute che sembrano scritte sul momento per quanto risultano banali. Anche le frecciatine sulla religione, che sono riuscite così bene in determinate puntate di I Simpsons e Futurama, qui sembrano scritte tanto per dare fastidio ai credenti, non tanto per farli realmente arrabbiare.

Pecca anche il pacing, le scene d’azione sono lente e legnose, non si riesce a sentire l’intensità del momento, e ciò è accentuato durante le numerose slapstick. Vi sono lunghi silenzi inutili, che non servono a mostrare la bellezza dell’animazione o i disegni di un paesaggio, quanto a mantenere una tensione pressoché inesistente.

Qui si rischia di sparare sulla croce rossa con un bazooka a ripetizione, ma se si paragona Disincanto a Mondo Disco di Terry Pratchett, non ci sono dubbi su quale sia la parodia migliore, oltre al fatto che i difetti di Disincanto aumentano sempre più. Oppure, paradossalmente, persino alla minisaga\lungometraggio Il gioco di Bender, dalla stessa serie di Futurama. Certo, è più una parodia di alcune storie fantasy e su D&D che sul genere in sé, ma è riuscita a fare in neanche un’ora e mezza ciò che Disincanto ha cercato di fare in 10 episodi. Si potrebbe argomentare dicendo che questa serie è ancora agli inizi e che solo successivamente le precedenti serie di Groening hanno iniziato a diventare dei veri capolavori, e questo è vero: man mano che si va avanti, la storia si fa (non di molto) più interessante e si riescono a trovare delle battute più “clever”, ma ormai si pensava che il buon vecchio Matt avesse imparato dai suoi lavori passati.

In sintesi, non la peggior serie animata mai fatta, né tanto mal diretta da risultare totalmente brutta, ma per ora il lavoro meno bello creato da Groening, e che raggiunge appena la sufficienza. Si spera che, col tempo, diventi più cattiva e più ricca.

Nel frattempo, se si vuole scoprire, o meglio, riscoprire, una vera e propria parodia del fantasy, si leggano le storie di Pratchett o per lo meno si veda Il gioco di Bedner.

 

Andrea De Venuto

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