Credere al meraviglioso: recensione

Dopo aver terminato l’intensa lettura del libro Credere al meraviglioso, secondo libro di Christophe Ono-dit-Biot, sono un po’ incerta su quale giudizio assegnare a questo romanzo.

Se si fosse concluso entro la prima metà, avrei sicuramente detto che il testo era meraviglioso, al punto da farmi commuovere in due o tre passaggi, ma dato che la storia non finisce lì, ma si dispiega per altre duecento pagine, non posso dire che alla fine mi abbia lasciato contenta.

Siamo alle prese con un professore, appassionato di mitologia e storia greca, rimasto vedovo a quarant’anni e con un bambino da crescere.

César questo il nome del protagonista, nelle prime pagine appare depresso, talmente depresso e senza scopo, dopo la morte della moglie, che medita il suicidio.

E lo fa con lucida razionalità, acquista dei tranquillanti on-line e, una volta solo in casa, inizia questo suo ultimo viaggio, inghiottendo con metodo una dopo l’altra le pasticche incriminate.

Purtroppo, o per fortuna, viene interrotto dal suono del campanello, sempre più insistente, che lo risveglia suo malgrado dal torpore in cui era scivolato.

È Nana, la nuova vicina, una ragazza molto bella ed intelligente, che irrompe nella vita dell’uomo, mandando all’aria il suo piano, con la scusa delle chiavi dimenticate.

Da questo momento inizia tutto un viaggio a ritroso nella vita di César e nel suo rapporto con la defunta moglie e con il figlio, e questa parte è quella che più di tutti mi ha emozionato, mi ha scosso, mi ha fatto vedere l’amore e l’affetto paterno sotto un’altra prospettiva.

Peccato che tutto cambi, appunto dopo la metà del libro, quando il protagonista pare avvicinarsi sempre di più a Nana, e alla sua strana famiglia, con un padre famoso e col pallino dell’arte, e una a sorella piuttosto particolare.

Sarà proprio a causa di questa ragazza, Dita, la sorella minore di Nana, che César verrà convocato su una sperduta isola greca ad incontrare Athanis, il padre di entrambe.

E sarà proprio qui che César comprenderà che tutto quello che ha fatto fino a quel momento, altro non era che un sogno, un pensiero partorito dalla sua mente intontita dai farmaci.

L’uomo si risveglierà in una stanza d’ospedale, salvato in extremis, dai paramedici con una parola in testa, e quella parola sarà l’inizio principale, per scoprire davvero se sua moglie Paz lo ama ancora.

Come avevo accennato poco sopra, quest’ultima parte dove si scopre che gran parte della vicenda non è che un sogno di un moribondo, mi ha lasciato l’amaro in bocca e la spiacevole sensazione di aver rovinato quell’atmosfera magica, che si era creata fino a lì.

È un bel romanzo, sicuramente particolare, ma quel finale frettoloso e inaspettato, proprio non mi va giù, ecco, non mi convince del tutto.

Lo consiglio comunque a chiunque abbia voglia di immergersi nella cultura greca e nell’atmosfera della costiera Amalfitana, e nei miti antichi di sirene e dèi capricciosi.

 

Samanta Crespi

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