Cinque Terre ( a Eugenio Montale)

Erano passi sospesi nel prisma

dell’ebbrezza e del canto,

tortuosi sentieri tagliati

su falesie lastricate dal mare

e stenti lentischi franati

sui sassi di sperse calanche-

cordate di case ai greppi aggrappate

come la tua agave e sgranati

rosari di paesi arrampicati

in un arcobaleno di colori.

Era dirupata vertigine

di ondivaghe terrazze

di vigne rubate alle rupi

e precipiti ad abbracciare

il palpitare di scaglie di mare.

Erano poggi esigui

contorti d’ulivi, orti ebbri d’aromi

di limoni e barche in piazzole

arrese a tregue di respiri-

bianchi silenzi di santuari

a sentinella di colline

e di chiese ancorate al mare,

spazi d’anima e luce

dai clivi vendemmiati

del Mesco e aperti all’infinito.

Poi -a Manarola- il presepe trafitto

di fede e scintille di sole

sul ferro della croce…

E dove in velato viola tepore

consumava il crepuscolo,

carezza era la sera.

 

Testo di Danila Olivieri