Border – Creature di confine: recensione

Nonostante l’occhio del cinema scandinavo sia sempre attribuibile ad un certo impatto realistico, privo di ritocchi narrativi che guardano a manierismi tecnici che vanno oltre il veritiero, in questo panorama abbiamo avuto recentemente la conferma che anche le opere di “genere” possono prendere vita con questo particolare tocco, facendo a meno magari di rivolgere determinati argomenti ad un pubblico esclusivamente adolescenziale; un esempio fondamentale a riguardo è stato Lasciami entrare del 2008, diretto da Tomas Alfredson, un horror vampiresco che parlava di una storia d’amore tra due adolescenti in una Svezia glaciale, dentro e fuori, tratto da un romanzo di John Ajvide Lindqvist.

Ora, sempre da uno scritto realizzato da quest’ultimo nome, intitolato Gräns, esce nelle nostre sale un lungometraggio atipico, una sorta di ibrido che guarda al cinema fantasy come anche al dramma più intimista, senza che l’uno sovrasti l’altro; Border – Creature di confine è un film che dal primo impatto sembra voler scaturire la sua natura in una narrazione prettamente realistica, salvo però annidare ogni singolo riferimento alla fantasia scandinava fatta di mostri ed esseri dell’altro mondo.

Diretto dal regista di origini iraniane Ali Abbasi, il film è la storia dell’agente della dogana Tina (Eva Melander), una donna che esercita la sua professione grazie ad un istinto particolare, dato che ha la facoltà di avvertire nelle persone tutte le loro sensazioni, il tutto annusandoli come fosse un segugio.

Un giorno incrocia il suo cammino con il misterioso Vore (Eero Milonoff), un uomo che sembra avere qualcosa in comune con Eva e che metterà in grande crisi le qualità particolari della guardia di confine; ma più lei si avvicinerà a questo straniero singolare, più scoprirà molte cose del suo passato.

Presentato al Festival di Cannes 2018, dove è stato insignito del premio come miglior film nella sezione Un certain regard, Border – Creature di confine è un lungometraggio a cui ci si deve avvicinare con molta cautela, senza aspettarsi chissà cosa dalle prime curiose immagini; il regista Abbasi apre le danze con una descrizione della vita della sua protagonista Tina, interpretata da una Milonoff esibita sotto pesante trucco, usando una narrazione asettica e tipica del cinema nordico, in modo da poter far capire quale visione ha da favorire al pubblico questa singolare trama.

Pian piano lo script, steso dal regista stesso assieme a Lindqvist e Isabella Eklof, si districa in un paio di storie parallele, una riguardante la natura bestiale di Tina e Vore, l’altra invece rivolta verso una sottotrama indagatrice; le due trame poi si fondono e ne traggono un racconto pregno di significati e voglia di rompere le regole, sfoggiando una morale sulla bestialità umana annidata in ogni persona e mischiando realismo scenico con concezioni che guardano contemporaneamente sia all’horror che al fantasy.

Difficile descrivere con due parole cosa sia alla fine dei conti questo Border – Creature di confine, sta di fatto però che siamo di fronte ad un esperimento cinematografico arduo da dimenticare, non tanto per le sue qualità artistiche, che in verità rasentano la sufficienza, ma più per come Abbasi riesca a livellare due tipi di punti di vista agli antipodi per un film che riesce a compiere il suo dovere a livello d’intrattenimento; molto del suo fascino sta nella presenza dei due mostruosi protagonisti, creati grazie all’apporto dei truccatori Göran Lundström e Pamela Goldammer (non per nulla entrambi sono stati candidati agli Oscar per il lavoro svolto), mentre il resto viene grazie a quella mitologia scandinava che si cela dietro le immagini, un culto che questa cinematografia ha sempre celebrato tramite film di genere che mai sembrano distaccarsi dal mondo reale, nonostante gli argomenti trattati (a riguardo va ricordato anche il Trollhunter di André Øvredal).

Mirko Lomuscio