Achille Tarallo: recensione

Dopo aver espressamente incentrato la propria carriera su prodotti esclusivamente drammatici, avendo dato vita a titoli come Vito e gli altri, Pianese Nunzio 14 anni a Maggio e La guerra di Mario, il regista partenopeo Antonio Capuano decide finalmente di mettere mano su un lungometraggio spudoratamente ironico, capace di estrapolare dalla sua vena autoriale anche una forte conoscenza musicale.

Ecco quindi che il nostro artefice crea un racconto di vita, utilizzando per protagonista quella sagoma comica quale è Biagio Izzo, interprete di miriadi di commedie di facile presa (Natale sul Nilo, Natale in India, Un Natale al Sud), e ritagliando su di lui un personaggio emblematico, caro ad una Napoli sognatrice e mai vincente, sempre in cerca di un riscatto che con molta fatica potrebbe anche (non) arrivare; lui dà il titolo al film, Achille Tarallo, ed è un conducente di autobus con velleità artistiche da non sottovalutare, anche se nella sua numerosa e affollata famiglia nessuno gli dà peso.

Ad attorniarlo in questa ambizione musicale ci sono innanzitutto l’amico musicista Cafè (Tony Tammaro) e l’impresario truffaldino Pennabic (Ascanio Celestini), un trio di personaggi che si aggira per matrimoni e feste, sfoggiando un repertorio che mai riesce a sfondare propriamente.

Ma oltre a ciò, Achille affronta altri bocconi amari della sua esistenza, tra una moglie insoddisfatta e insoddisfacente, un’amante ambiziosa, gente poco raccomandabile e l’arrivo di una badante straniera, la quale si prende cura dell’anziana e appena vedova madre di lui.

Un contesto che porterà Achille a prendere le sue dovute decisioni, verso una vita realizzata e piena di sogni  mai raggiunti.

In Italia se un regista ha avuto la fortuna di creare una propria carriera in un ambito, che cosa potrebbe impedirgli di aprirsene un’altra in tutt’altro genere?

Capuano sente di avere una degna vena ironica e tira su il suo Achille Tarallo senza alcun freno inibitorio, dando vita ad un colorito microcosmo partenopeo ricco di personaggi poco raccomandabili, incluso il protagonista interpretato da Izzo stesso.

Quello che non funziona però in questo lungometraggio è che l’ironia e la narrazione si fanno troppo soggettive, stimolando magari le giuste emozioni in chi si trova dietro la realizzazione di questo prodotto ma non in un vasto pubblico; Achille Tarallo è un’opera incerta, che avanza di idea in idea, senza però avere un nesso logico nella compattezza narrativa.

A Capuano sarà anche sembrata una trovata stimolante, ma è difficile pensare che ci sia un qualcuno che possa apprezzare tale prodotto, perché qua ci troviamo di fronte ad un ambiziosa trama che vira tra il senso del musical (canzoni a cura di Tammaro stesso, ma anche quelle non spiccano) e forzati voli pindarici, che purtroppo consentono al suo regista di giocare su discorsi di vita senza lesinare in momenti stucchevoli (la parentesi inutile e gratuita dell’amante, l’attrazione tra Achille e la badante), per non parlare del forzatamente ricercato parallelismo tra il protagonista e il suo cane domestico (e l’assurda scena finale tocca dei ridicoli picchi involontariamente comici).

Lento, indeciso, distaccato e banale, Achille Tarallo è forse la conferma che la commedia non è proprio genere che il buon Capuano possa affrontare di nuovo; questo fino a quando non scoprirà veramente cosa possa far divertire un vasto pubblico.

Mirko Lomuscio