Don’t worry darling: recensione

Attrice dall’inconfondibile sguardo, vista in svariate pellicole che spaziano dal drammatico (Alpha dog) al fantascientifico (Tron: legacy, In time), fino alla commedia vera e propria (L’incredibile Burt Wonderstone), Olivia Wilde da qualche anno si è saputa anche ritagliare uno spazio da regista mettendo mano nel 2019 alla sua opera prima La rivincita delle sfigate, film adolescenziale virato su uno sguardo prettamente femminile.

Sguardo che ovviamente non manca neanche nella sua seconda regia, questo Don’t worry darling, titolo presentato al Festival di Venezia 2022 e che intreccia con una serie di immagini affascinanti una storia al di là dell’ordinario, ambientandosi in una America anni ’50, tra benessere e sogni realizzati.

Protagonisti sono la Florence Pugh di Midsommar – Il villaggio dei dannati e Piccole donne, l’Harry Styles frontman dei One direction già visto in Dunkirk e il Chris Pine del nuovo Star trek cinematografico, i quali ricoprono i panni di tre personaggi abitanti di un mondo troppo inverosimile per quanto bello; siamo in una provincia americana anni ’50, dove esiste una felice comunità realizzata e composta da diverse coppie innamorate.

 

Tra loro ci sono Jack (Styles) e Alice Chambers (Puch), la cui esistenza prosegue tra puro benessere e voglia di sentire la propria vita realizzata.

Solo che dietro a tutto ciò si nasconde qualcosa di ambiguo, una verità schiacciante e inimmaginabile, che porterà Alice a sospettare del contesto in cui vive e dell’uomo che è a capo di questa idilliaca comunità, l’ambiguo Frank (Pine).

Presentandosi da subito con un’estetica accattivante, atta a ricreare una America retrò altamente affascinante e già abbastanza sconcertante per la perfezione in cui basa il proprio quotidiano, Don’t worry darling è un film che dire ispirato è dire poco, dato che nelle sue due ore di visione è possibile trovare quanti più riferimenti possibili ad un cinema già preesistente, cominciando dalla stessa estetica che vira tra La fabbrica delle mogli e The Truman show, più colpi di scena che magari in altre pellicole hanno già dato il loro contributo (e che non citiamo per non anticipare nulla, seppur prevedibili dopo dieci minuti di visione).

Ma nonostante questa mancanza di originalità in superficie, la Wilde regista si lascia ben vedere, mostrando una narrazione che comunque coinvolge e sa rendersi accattivante, raccontando una trama che tende a farsi sempre più fantascientifica e che, alla fine, il suo sguardo prettamente femminile riesce a iniettarlo in questo contesto basato sull’assurdo.

In poche parole Don’t worry darling è un’opera che si accoda al pensiero prettamente girl power degli ultimi anni, virando in rosa un contesto a suo modo fantascientifico e che intende alimentare una sorta di denuncia verso un’America sottilmente misogina che prese piede dagli anni ’50 in poi.

Ovviamente nel ricreare questa epoca il titolo in questione si affida ad un affidabile utilizzo di scenografie e costumi, ben resi dalla fotografia di Matthew Libatique, e una soundtrack ricca di pezzi dell’epoca qua riportata, tra cui Sleep walk di Santo & Johnny e End of the world di Skeeter Davis.

Il tris di protagonisti trova grande sostegno in una Pugh ossessionata, che nonostante le sue notevoli qualità risulta anche un po’ sprecata qua, lasciando poi i due maschi Styles e Pine come sagome ambigue a se stanti; ruolo di contorno per la Wilde stessa, la quale si ritaglia la significante parte della vicina di casa Bunny, ma che comunque con Don’t worry darling mostra un occhio registico, sì ancora da perfezionare, ma abbastanza ispirato.

Si spera in meglio per altre regie a venire.

Mirko Lomuscio