Uno di famiglia: recensione

Terapia e pallottole, Mickey occhi blu, addirittura Angeli con la faccia sporca di Frank Capra; nel cinema il binomio mafia/risate è sempre stata una certa prassi che non è potuta mancare, nonostante la voglia di ridere con leggerezza un argomento così scottante.

Anche in Italia siamo arrivati a tanto, uno su tutti Johnny Stecchino di e con Roberto Benigni, ed anche recentemente è capitato con Quel bravo ragazzo interpretato da Herbert Ballerina (al secolo Luigi Luciano); ora in sala ci prova questo Uno di famiglia, lungometraggio diretto dall’esperto in commedie Alessio Maria Federici, in passato interprete (Classe mista 3a A, Panarea) ed ora regista (Terapia di gruppo per amanti, Tutte lo vogliono, Fratelli unici) di opere leggere, che col suddetto titolo cerca di avventurarsi in un territorio pregno di satira, sia di costume che sociale.

Protagonista è l’attore Pietro Sermonti, reduce dall’esperienza tripla di Smetto quando voglio, qua nei panni del logopedista Luca, un uomo che a malapena riesce a campare con ciò che guadagna e che vive in casa con la bella Regina (Sarah Felberbaum, nelle sale anche con Nessuno come noi).

Un giorno un suo giovane cliente, l’aspirante attore Mario (Moisé Curia), rischia di rimanere vittima di un attentato, ma Luca gli salva la vita senza però sapere nulla del ragazzo; infatti quest’ultimo è un componente della famiglia Serranò, un potente nucleo mafioso calabrese che tira le fila nella malavita da parecchio tempo.

La zia di Mario, la vedova Angela (Lucia Ocone), decide di portare lo squattrinato logopedista nella sua casa e per riconoscenza lo farà conoscere al capofamiglia, Carmine (Nino Frassica), che tratterà Luca come un membro del clan.

Da ora in poi per quest’ultimo non ci saranno più problemi economici e personali, ma i Serranò sono ovviamente soggetti poco raccomandabili, quindi i guai, e la legge, non tarderanno a bussare alla porta di Luca.

Certo ironizzare sulla malavita richiede un certo tocco che possa non banalizzare l’argomento in sé, tutto senza però dimenticare l’esito leggero che una commedia di costume deve sapersi portare dietro; Federici gestisce Uno di famiglia come se stesse realizzando una commedia dal taglio internazionale, ma l’impronta proto televisiva si fa troppo sentire con l’andare avanti, sia nel linguaggio scelto che nella resa tecnica complessiva.

Insomma, da una parte c’è un agglomerato di idee che potrebbero anche funzionare (l’entrata di un uomo comune nella vita di una famiglia malavitosa), anche se già viste e straviste su grande schermo, mentre dall’altro invece la fiacchezza del tutto si fa ben sentire, alimentando una certa noia, soprattutto riguardo alla totale mancanza di cattiveria di fondo.

Ci si giostra con una fila di caratteri per così dire idonei per l’occasione, dallo spaesato (sia come personaggio che come interprete) Sermonti ad un Frassica fin troppo trattenuto, fino ad arrivare ad una Ocone versione calabro-siculo (la migliore del lotto) ed una Felberbaum inutile alla causa, ma senza però riuscire a cavare un ragno dal buco, sia nella voglia di graffiare che in quella di divertire.

Inutile la partecipazione di Neri Marcorè nei panni dell’handicappato Alfredo, la cui sottotrama si capisce sin dal primo istante dove andrà a parare.

Con Uno di famiglia ci si trova di fronte ad un film che vorrebbe far sorridere in modo diverso, ma alla fine, per ovvia mancanza di coraggio, si accontenta di poco e niente, risultando essere fiacco e inutile per la sua causa satirica.

Mirko Lomuscio