Una seconda occasione

Ecco un nuovo racconto scritto da Samanta Crespi e ispirato al nono episodio della terza serie del telefilm Robin Hood.

Buona lettura!

Correva l’anno del Signore 1175, ed era la vigilia di Natale, nevicava copiosamente, quasi furiosamente, tanto che Guy di Gisborne si chiese se avesse mai vissuto un inizio d’inverno così tagliente e ghiacciato in vita sua.

Si sistemò il pesante mantello di lana intorno alle spalle e, con mani tremanti per il freddo sollevò la cappa, già pregna di candida neve, sopra la testa, badando di stringere bene i lacci per riparare il volto dal vento impetuoso.

Se fosse stato un altro momento della sua vita, uno di quelli passati in cui lui era ancora il vice dello sceriffo, quando si prestava ad indossare la maschera del vile, meschino e senza cuore, se fosse stato ancora il “vecchio” Guy, allora, non si sarebbe mai sognato di andare alla ricerca di una donna qualunque, solo perché ella non era giunta presso la sua casa. Ma lui era cambiato, dopo la morte di Lady Marian, aveva avuto modo di comprendere i propri sbagli, era stato costretto a fare i conti con i propri demoni interiori.

Una volta giunto al fondo del barile, aveva dovuto guardarsi dentro, e toccare da vicino l’oscurità del suo cuore nero, ed il suo egoismo, insieme alla follia e la rabbia cieca, che avevano guidato la sua mano e la spada, che avevano trafitto il cuore di Marian, mettendo fine alla sua vita.

Tutti questi sentimenti lo avevano portato quasi a perdere il senno.

Era stato incarcerato da sua sorella Isabella, la quale lo riteneva responsabile della propria vita distrutta, grazie ad un matrimonio che Guy aveva combinato per lei. Gisborne aveva venduto sua sorella a Thorton, solo per il prestigio e il denaro, che poteva derivare da una simile Unione. Poco gli importava se il marito di Isabella si era rivelato un uomo violento e irascibile.

Guy a quel tempo pensò che un simile destino, se lo fosse meritato, in fondo aveva compiuto molti atti deplorevoli, culminati col peggiore di tutti: aveva ucciso la donna che amava, poiché non sopportava che Marian preferisse Robin Hood a lui.

L’uomo ricordò che nonostante fosse incatenato in una cella umida e lurida, in attesa del boia, non aveva paura, anzi vedeva la morte come un sollievo dalle proprie pene interiori.

Una notte, mentre Guy, insonne, fissava le pareti della cella, era arrivata lei, una nuova prigioniera a riempire i silenzi di quegli spazi bui e angusti.

Una ragazza come tante all’apparenza, eppure qualcosa in lei aveva sciolto il cuore indurito di lui, ne aveva curato le ferite dell’animo, ancora sanguinanti.

Ripensando a quella notte in cui lei non aveva fatto altro che tormentarlo con con mille domande e mille pensieri, detti tutti a voce alta e senza freni, Guy sorrise.

“Vai all’inferno!” Aveva detto lei. “Ci sono già.” Aveva risposto lapidario Gisborne, e si ricordò anche che avrebbe voluto strozzarla, farla tacere in ogni modo, aveva persino chiesto a Dio di dargli la forza di sopportare quel tono aggressivo e spavaldo, tipico dell’incoscienza.

Quella ragazza dai lunghi e setosi capelli castani chiari, non sapeva nulla di lui, eppure si permetteva di giudicare.

“Io odio gli uomini, sono tutti uguali. Se potessi farli sparire in una nuvola di fumo, il mondo sarebbe più bello” Avevo esordito con convinzione lei, Gisborne aveva sorriso sarcasticamente senza dire una parola.

Lei ad un certo punto, come una bambina, aveva messo il broncio “Ho sete e sto morendo di fame!”. Gisborne aveva raccolto il pezzo di pane raffermo è pieno di vermi, che lei aveva lanciato nella sua cella, lo aveva ripulito e glielo aveva dato.

“Grazie, allora c’è del buono in voi” aveva detto lei.

“Voi non mi conoscete… e poi non avevate detto di odiare gli uomini?” aveva ricordato Guy, a quella frase lei aveva abbassato il viso arrossendo, ma non abbastanza rapidamente da far sì che lui non se ne accorgesse. Forse era stata quella sua reazione così dolce a scuoterlo, lo aveva risvegliato dal profondo torpore emotivo e distruttivo in cui si era volontariamente rinchiuso. Lo aveva fatto pensare a Marian.

Quella giovane donna dai capelli color del grano. e gli occhi azzurri. era riuscita in una sola notte a far credere a Guy di non essere un uomo così malvagio, come lui stesso si era sempre pensato.

Quando Meg, questo il nome della giovane, fu liberata da Isabella, Guy aveva provato sollievo. Finalmente non doveva più sopportare quella voce petulante si era detto. Eppure lei era ritornata da lui con del cibo, dispiaciuta di non poterlo aiutare ulteriormente, lui l’aveva mandata via, ma in cuor suo Guy aveva iniziato a sperare di nuovo.

Quando infine Meg aveva rubato le chiavi della prigione per liberarlo, lui aveva capito che poteva esserci una seconda occasione per lui, poteva ancora fare qualcosa per redimersi, e per di più a qualcuno importava della sua morte.

Purtroppo Isabella li aveva scoperti e condannati ad essere giustiziati insieme. A nulla erano valsi i tentativi di Guy di convincere la perfida sorella a risparmiare la giovane, in cambio della sua vita.. Grazie all’intervento fortuito di Robin Hood sia Guy, che Meg, avevano evitato per un soffio l’ascia del boia. Erano fuggiti dal patibolo, nonostante la ragazza fosse rimasta ferita da una guardia nel tentativo di salvare Guy.

Lui l’aveva portata in braccio fino nella foresta e, lì sulla riva del fiume, si erano scambiati il primo bacio. Meg lo aveva implorato e lui, mosso a compassione, credendo che lei sarebbe morta, aveva acconsentito a quella piccola richiesta, sfiorandola appena.

“Mi siete sempre piaciuto” Aveva sussurrato la fanciulla prima di svenire.

Era stata poi curata nella foresta da Djaq, e accudita per giorni, dagli altri della banda di Robin Hood, corsi in suo soccorso, nonostante covassero ancora sfiducia e ostilità verso colui che aveva portato Megan da loro..

Il vento gelido e tagliente riscosse Guy da quei concitati ricordi.

“Forse ho solo un’opinione troppo alta di me stesso” disse, con la voce smorzata, mentre sellava la sua cavalla.

“Forse lei ha avuto un ripensamento dopo avermi scritto quella lettera, in fondo non sa di cosa sono capace, se lo sapesse, non vorrebbe di certo avermi intorno” disse Guy tra sé e sé, mentre la sua cavalcatura mostrava segni di irrequietezza, per quanto si sforzasse, non riusciva ad accettare che una donna tenesse veramente a lui, non dopo Marian.

“Ma se non fosse così? Se fosse uscita per raggiungermi e si fosse persa? O fosse rimasta ferita?”. La mente dell’uomo dai profondi occhi verdi e i lunghi capelli scuri, viaggiava veloce e frenetica.

Da un lato l’animo del “vecchio” Guy si mostrava cinico e impietoso con se stesso, ricordandogli che lui non si meritava la compagnia di Meg, è ancora meno il suo dolce tocco. Dall’altro lato, il “nuovo” Guy, stava pregando ardentemente che a lei importasse qualcosa di lui.

Forse Guy amava Meg, ma non poteva dirlo con certezza, perché prima di incontrare lei, l’unica donna ad essere sempre stata al centro dei suoi pensieri era Marian, e solo Marian. L’amore che Guy credeva di aver provato per lei , era sempre stato qualcosa di sbagliato, più simile all’ossessione, che all’affetto, e solo ora lui se ne rendeva conto. Ora che provava sentimenti autentici, forti, e soprattutto dirompenti per la dolce Megan.

“E se lei fosse rimasta bloccata da qualche parte, ferita, o spaventata, o peggio?” Si chiese Guy tra sé, mentre spingeva l’animale contro vento, sulla strada verso Nottingham.  Non poteva permettersi il lusso di rischiare di perderla.

Lesse di nuovo la lettera che lei gli aveva fatto recapitare:

         “Mio caro Guy,

so che vi sembrerò sfacciata, e molto probabilmente , non avrei dovuto nemmeno scrivere questa missiva, ma sapere del vostro esplicito invito, mi ha riempito il cuore di una felicità immensa. Non posso fare altro che accettare, e confessarvi che sì, non vedo l’ora di trascorrere il Santo Natale insieme a Voi.

Spero che qualcuno dei ribelli vi faccia avere questa “mia” quanto prima.

 Meg.

Guy sorrise, con quel suo  temperamento ardito e ostinato, Meg, non era affatto dissimile da Marian.

Un lampo di lussuria, al pensiero della giovane fra le sue braccia, balenò nei  caldi occhi smeraldo di Guy, ed egli ripose con cura il foglietto stropicciato nella scarsella, badando di non farlo volare via.

“Al diavolo la prudenza… Un uomo non può aspettare tanto a lungo” stavolta diede voce al pensiero, per quanto il freddo tagliente glielo permettesse, prima di fargli morire il fiato nella gola.

Era pomeriggio inoltrato ormai, doveva affrettarsi, la nuova dimora di Meg si trovava poco fuori Nottingham, ma con quel tempaccio gli ci sarebbero volute almeno due ore ad andatura spedita, se non al galoppo.

Si mise in viaggio senza una direzione precisa, senza sapere se l’avrebbe trovata o no, ma qualcosa lo spinse ad agire, a dispetto di tutto.

Per fortuna, o per sfortuna, l’intuito dell’ex vice-sceriffo si rivelò giusto. Gisborne trovò Megan che vagava infreddolita, e sola, cercando di  smuovere la propria cavalla pezzata, che non ne voleva sapere di ascoltare la padrona.

La voce di Meg tremava, come tutto il suo corpo del resto, Guy lo poté vedere quando le si avvicinò.

Lei non lo riconobbe subito, anzi indietreggiò davanti a quell’uomo a cavallo che celava il viso con il mantello. Il cielo volgeva all’imbrunire, proiettando le   lunghe ed esili ombre dei due viandanti sulla neve fresca.

“Non-non ho nulla… sta-statemi lontano… no-non fatemi del male”.

Lei, pur essendo avvolta in spessi strati di lana, balbettava, sbattendo violentemente i denti per il freddo. Le labbra si erano tinte di viola e le gote e il naso erano di un rosso acceso. Megan stava letteralmente congelando, con le gambe nella neve fino al polpaccio.

Guy, con un’agilità sorprendente, smontò da cavallo e le si avvicinò piano, mentre scioglieva i lacci del proprio mantello.

Lei gridò mettendosi le mani davanti al viso, come per proteggersi.

“Meg… sono io! Guy…” Disse lui, mostrando il proprio viso e stringendo le mani gelide di lei nelle proprie, tenute calde grazie ai preziosi, quanto costosi, manicotti in lana. Anch’essi un retaggio della sua vecchia vita di vice-sceriffo.

“Guy, siete davvero voi? O sto morendo, e questo è un miraggio?” Domandò lei incredula, ma con voce un po’ più ferma.

“State bene? Come mai siete fuori con questo tempaccio? Non credevo sareste stata così stupida da avventurarvi sola nella bufera solo per…” Guy lasciò cader la frase, perché non voleva dar corpo alla possibilità che lei lo volesse davvero vedere quel giorno.

“…Solo per venire da voi? Oh Guy, sono giorni che non penso ad altro, da quando ho ricevuto la vostra lettera. Se solo che questa cocciuta di una cavalla avesse voluto proseguire” Disse lei, toccando il collo dell’animale, come a volersi giustificare

“Fatemi dare un’occhiata” Disse lui, fingendo di non aver udito la prima parte della frase.

“… vedete? La vostra cavalla ha perso uno zoccolo. È sicuramente per questo che non vuole più continuare” Disse Guy, mentre posava delicatamente il proprio mantello sulle spalle della giovane dai grandi occhi celesti.

“Torniamo indietro, verso Sherwood,  è la strada più breve e più sicura. So di non essere un ospite gradito a Nottingham. Robin e gli altri fuorilegge non ci negheranno ospitalità, se lo chiediamo…” Disse l’uomo risoluto.

“In fondo sono anch’io uno di loro, ora…e Robin è il mio fratellastro” aggiunse Guy. Per un attimo, sul suo bel volto, passò un’ombra di malinconia, che scomparve, non appena lui sentì il braccio esile di lei, stretto intorno al proprio.

“Guy… voi siete molto più di un fuorilegge per me” confessò lei, mentre lui legava le briglie della cavalla di Meg alla sella della propria.

“Venite, andiamo. Prima che io inizi a dire cose di cui potrei pentirmi”. Incalzò lui in modo brusco.

“Come?” Chiese Meg, confusa dal quel repentino cambio di umore.

“Voi mi piacete, e anche molto. Ma, da un lato, non avrei mai voluto provare di nuovo qualcosa di simile dopo…” sputò fuori lui, tutto d’un fiato, consapevole di quanto fosse difficile ammettere la verità.

“Dopo Lady Marian…” concluse lei per lui, troppo infreddolita per pensare lucidamente.

Guy non amava parlare di Lady Marian, ma Megan, che era una ragazza dal brillante intuito, aveva colto subito il perché dell’esitazione nella voce di lui.

La giovane abbassò lo sguardo delusa, ma anche consapevole che con il ricordo di quel suo amore perduto, lei non poteva competere.

“Montate sul mio cavallo…” La voce di Gisborne si era fatta distante, gelida quasi quanto la neve che scendeva copiosa sulle loro teste. Meg esitò nel prendere la mano che Guy le porgeva.

“Avanti, salite. Non so voi ma io non ho intenzione di morire assiderato proprio la notte di Natale!”.

Lei obbedì, il tono dell’uomo era suonato più come un ordine, che come un consiglio. Meg aveva capito tardi che evocare il ricordo di Marian nella mente di Guy, non era stata una mossa astuta, ed ora il fantasma dell’amore e del dolore passato, aleggiava tra loro formando una barriera invisibile.

“Guy… io non intendevo mancarvi di rispetto” disse lei, cercando un qualche contatto con lui.

“Non lo avete fatto. Quello che è stato è stato, il passato non si cambia”. Rispose con tono piatto lui, che non riusciva ancora a perdonarsi per quell’efferato gesto. Come avrebbe mai potuto accettare di vedere Marian andare in sposa a Robin? Quell’inetto arciere fuorilegge, che per un brutto scherzo del destino era anche suo fratello?

Come spiegare queste cose a Meg, senza apparire il vile assassino che era stato? Lui era cambiato, certo, ma poteva esser sufficiente avvertire il peso della colpa, per meritarsi una seconda occasione?

Guy sospirò, strinse Meg a sé, e con uno schiocco delle briglie diede l’ordine alla cavalla di muoversi, la neve morbida e farinosa, faceva affondare gran parte delle zampe dell’animale, costringendolo ad una andatura lenta ed esasperante.

La vicinanza del corpo di Megan al proprio non aiutava Guy ad essere lucido, però nonostante la desiderasse, cercò di mantenere un certo distacco.

“Prima arriveremo, prima potremo lasciarci questo gelo alle spalle, mi si sta ghiacciando il cervello!” disse lui, rivolto ad un punto indefinito davanti a sé.

“Mi dispiace, non avrei dovuto mettervi in questa situazione…” disse lei, cominciando a dubitare che sarebbero tornati indietro tutti interi.

“Ad ogni modo, sono felice di essere qui in vostra compagnia…” concluse Guy, sfiorandole la testa con il proprio viso.

Lei arrossì senza che lui potesse vederla e, nel contempo rabbrividì.

Nessuno dei due parlò più, Meg Bennet e Guy di Gisborne, si tennero stretti l’uno all’altra sulla sella, mentre tutto il non detto, fra loro, si perse nella neve che scendeva dal cielo, incurante del tumulto nei loro cuori, e del caldo respiro delle loro bocche.

 

Samanta Crespi

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