Tutta un’altra vita: recensione

Se siete stanchi della solita esistenza, magari sempre alla ricerca di un definitivo colpo di fortuna e vogliosi di arricchirvi con qualche ricca vincita, allora Tutta un’altra vita potrebbe essere la commedia per voi, una pellicola interpretata dall’esperto in materia Enrico Brignano ed opera numero due del prolifico sceneggiatore (suoi gli script di Natale a Beverly Hills e Natale in Sud Africa tra l’altro) Alessandro Pondi, dopo aver esordito nel 2017 con Chi m’ha visto.

La storia è quella del tassista Gianni (Brignano), il quale, scontento del proprio tenore di vita e del suo matrimonio con la moglie Lorella (Paola Minaccioni), è sempre preso da qualche lotteria o gratta e vinci, col fine di voler meritare qualcosa di più nella sua vita.

Ma un giorno la fortuna bussa alla sua porta, o così si fa per dire; scortando una coppia benestante romana all’aeroporto, Gianni si accorge che il ricco Temistocle (Paolo Sassanelli), suo cliente, dimentica in macchina le chiavi di casa.

Questo fa scattare qualcosa nella mente del tassista, il quale, non riuscendo a ridare indietro le suddette chiavi, decide di intrufolarsi nell’abitazione dei due, per tutto il periodo che questi ultimi rimangono in vacanza all’estero.

E’ così che Gianni comincia a comportarsi come un benestante della capitale, girando in auto di lusso e vestendo firmato, imbucandosi così anche a qualche festa altolocata; in una di queste fa la conoscenza della bella Lola (Ilaria Spada), una ragazza che da subito farà breccia nel cuore dell’uomo.

Solo che Gianni, non essendo colui che dice di essere, ovvero un ricco benestante, troverà difficile mantenere una storia d’amore clandestina, perché a casa c’è Lorella che l’aspetta.

Canovaccio visto e rivisto nel campo cinematografico, ovvero quello del povero che si finge ricco, tant’è che non da troppo tempo lo abbiamo visto anche in Modalità aereo di Fausto Brizzi (molto simile al film di Pondi, ma mentre qua ci sono le chiavi là era un cellulare il mezzo dell’arricchimento), inutile dire che in Tutta un’altra vita tale plot non viene gestito meglio, anzi, dopo un avvio che a suo modo dimostra qualche spunto e assesta un paio di battute, la narrazione si staglia su una love story appiccicaticcia e, a dire il vero, inessenziale, senza avere un ben che minimo voglia di sbalordire nei colpi di scena e negli intrecci narrativi.

Tutto si fa statico in questa pellicola, la visione alla lunga stanca e Pondi, convinto di avere a priori degli assi della recitazione per le mani, non si rende conto di sfruttare malamente la verve dei suoi interpreti e personaggi, caratterizzandoli in modo alquanto monodimensionale e incolore.

Brignano fa quel che può, come anche la sua comprimaria Minaccioni e, nel suo piccolo, anche la Spada, ma Tutta un’altra vita è un’opera che della buona scrittura ne fa proprio a meno, ed in più sfoggia verso l’epilogo una morale agghiacciante, ovvero che la ricchezza può far sempre felice la più umile delle persone.

Una colpa questa non dovuta esclusivamente ad un’approssimazione a livello di regia e di sceneggiatura, ma proprio perché ormai nel nostro panorama cinematografico, parlando almeno di commedie, non c’è più la forza (e la voglia) di voler dare un messaggio come si deve, quindi ci si aggrappa su un cinismo mal congegnato e troppo superficiale.

Mirko Lomuscio