Toy Story 4: recensione

Vi sono stati molti esempi, in passato, di film che hanno avuto una degna e soddisfacente conclusione e che, nonostante ciò, hanno ottenuto diversi sequel che, nonostante tutto, si sono rivelati delle piccole perle. È successo con Mad Max, con Kung Fu Panda, Alien e così via. Ciò sia per sfruttare la popolarità dell’opera sia per continuare una storia capace di appassionare nuove e vecchie generazioni.

Tale è anche Toy Story 4, esordio alla regia di Josh Cooley del 2019.
Woody e i suoi amici sono ormai i giocattoli di Bonnie, la quale ha iniziato da poco le elementari. Per non sentirsi sola, crea da sé un nuovo giocattolo da una forchetta di plastica: Forky. Purtroppo, durante un viaggio in camper, Forky e Woody vengono sbalzati fuori e finiscono in un luna park. Nel tentativo di ricongiungersi coi loro amici, ritrovano Bo Peep, ora un giocattolo smarrito, la quale li auita nella loro impresa.

Come si evince, la formula Toy Story non è diversa da quella dei precedenti film: uno dei personaggi viene separato dal gruppo, da tale divisione ottiene un’esperienza, mentre i componenti dell’altra parte cercano di ricongiungersi, ed il tutto porta ad un finale in cui l’intero gruppo dovrà sacrificare qualcosa per raggiungere l’obiettivo. Dispiace che la Pixar non abbia voluto rinnovare la saga con la quale ha visto l’alba, non abbia voluto correre troppi rischi, complice forse l’avvento di un nuovo regista. Sicuramente Toy Story si è fatto amare proprio per questa formula, ed è difficile separarsene, ma privare di ciò una storia non significa per forza privarla anche del suo spirito.

Ciò nonostante, sorprende e rincuora il fatto che, come nel precedente film, verso il finale non si cerchi di tornare al punto di partenza. Si crea piuttosto una nuova situazione, qualcosa scaturito dall’esperienza della separazione. Ciò è metafora della crescita, della maturità, e del cambiamento che ne segue. Un cambiamento che può far male, ma che serve allo sviluppo dei personaggi. Preoccupa forse che ciò porti alla creazione di un ulteriore seguito, ma resta da vedere.

Altra piccola pecca è il poco spazio riservato ai personaggi secondari. Certo, ormai vi sono sia i giocattoli di Andy sia quelli di Bonnie sia dei giocattoli nuovi, tuttavia è triste che a personaggi prima importanti sia stata riservata solo una frase di commento e nulla più.

Il villain di questa storia, come succede ormai sempre più spesso nelle storie, non è solo spinto da un trauma e da una smania di potere: le sue motivazioni sono comprensibili, il suo fine simpatetico, in un modo che anche i bambini possano comprendere. In un prodotto indirizzato ai più giovani creare personaggi così tridimensionali aiuta i più piccoli a capire come può esser visto il mondo da diversi punti di vista.

L’animazione 3D è semplicemente spettacolare. Da creatori del primo lungometraggio in computer grafica mai realizzato, gli sviluppatori Pixar hanno aumentato i dettagli dei personaggi e la fluidità dei movimenti. I giochi luci/ombre raggiungono livelli altissimi, degni della casa di produzione. Si era già notato da Gli Incredibili come additittura gli animatori si siano preoccupati a rivestire persino la “peluria” dei vestiti.

La mancanza di Fabrizio Frizzi nel doppiaggio italiano si fa sentire non poco. Non era certo un professionista del campo, ma la sua energia, la sua passione e la sua allegria hanno dato carattere a Woody, dandogli quella tonalità che conosciamo tutti, ormai.

Angelo Maggi, doppiatore ufficiale di Tom hanks, fa comunque un lavoro eccelso, come del resto tutto il cast, ma i ricorderemo per sempre di fabrizio. Ed a lui è dedicata questa recensione.

Verso l’infinito e oltre.

Andrea De Venuto

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