Tolo Tolo: recensione

A tre anni dalla sua ultima escursione cinematografica, ovvero quel Quo Vado? che ha sfondato ogni record d’incassi italiano, il noto comico Checco Zalone (al secolo Luca Medici) torna sui grandi schermi con un lungometraggio che promette irriverenza e risata graffiante, come è solito da parte del famoso cantattore, ma cosa ancor più eccezionale, il titolo in questione rappresenta l’esordio alla regia per Zalone stesso, chiudendo così una collaborazione di lunga durata col sodale Gennaro Nunziante (regista dei precedenti quattro film).

Affidandosi ad un soggetto steso da Paolo Virzì, il quale si occupa dello script assieme al buon Medici, ecco quindi prendere vita questo Tolo Tolo, ovvero una storia di immigrazione secondo il punto di vista del discutibile protagonista Checco, un evasore fiscale della Puglia rurale che fugge dall’Italia, in cerca di una salvezza da ogni debito che lo affligge.

Giunto in Africa, l’uomo svolge un’esistenza al cospetto di umili lavori e fuga verso la salvezza, dato che le terre in cui abita sono tormentate da continue guerre civili; accompagnato dalla bella Idjaba (Manda Touré), dal figlio di lei Doudou (Nassor Said Birya) e dall’amico Oumar (Souleymane Sylla), Checco attraverserà il deserto pur di raggiungere l’agognata vita “civile” che svolgeva una volta, tra comodità varie e innumerevoli agi, lontana anni luce dalla “scomodità” della drastica situazione africana.

Con molta più ambizione del dovuto, Zalone spunta al cospetto dei suoi innumerevoli spettatori con un’opera che decide di parlare di tematiche razziali e di minoranze etniche, di clandestini e sangue sparso, senza però rinunciare al suo solito metodo comico di ridere lasciando pensare; Tolo Tolo è un titolo che ci mostra un altro lato del famoso comico, più ragionato e serioso di quello che avremmo potuto immaginare, meno dedito alla risata fine a se stessa e con qualche riuscito momento che vince per simbolico sarcasmo (l’inizio, quando il protagonista preferisce il dramma delle guerre africane a quello dei debiti italiani).

In più Tolo Tolo, oltre a ridarci quel sano umorismo tipico di Zalone, ci mostra un suo lato registico in fin dei conti non da sottovalutare, vincente su come riesce a bilanciare tematiche serie con gag ironiche, mai disattento quando si tratta di estrarre una pellicola che possa essere presa sul serio ma senza rinunciare alla facile risata.

Certo, è un po’ un canovaccio pretestuoso quello che milita maggiormente la storia del film (seppur affrontato recentemente anche in un altro fil comico, il mediocre Scappo a casa con Aldo Baglio), anche perché, in conclusione, l’argomento non sembra voler essere sviluppato per approfondire i personaggi che popolano la trama, ed in più, verso l’epilogo, tutto si conclude inaspettatamente all’improvviso, difetto non da poco, ma Zalone neo regista non rinuncia alla voglia di voler confrontare problemi italiani con quelli africani, mostrando i vezzi ridicoli dei primi (una cougar di terza età interpretata da Barbara Bouchet, dei parenti pugliesi cinici, tra cui Nicola Di Bari, e, il migliore, un arrampicatore sociale simil Di Maio interpretato da Gianni D’Addario) e i drammi veri dei secondi (guerre civili, carestie e immigrazione clandestina), creando così un lungometraggio che possa risuonare di nuovo alle orecchie degli innumerevoli spettatori italiani che accorreranno a vederlo, come è già successo in passato.

Che Tolo Tolo sia una pellicola che farà discutere è cosa a dir poco sottintesa, dato l’argomento e il sistema in cui viene affrontato, ma è anche altrettanto risaputo che grazie a Zalone avrete modo di godere di una visione ben gradita e con alcune punte di originalità, volte ad affrontare un certo politicamente scorretto che risvegli qualcosa nella propria coscienza, che lo vogliate o no.

Mirko Lomuscio