Ti ammazzerò stasera: intervista esclusiva a Marco Neirotti

Marco Neirotti, giornalista de «La Stampa», collaboratore di «Tuttolibri», inviato su fatti di cronaca nera, come i delitti di Novi Ligure, Cogne e Erba, autore di inchieste su criminalità straniera, prostituzione, immigrazione clandestina, mondo carcerario e psichiatrico, ha creato il sito “Storie e pensieri”. Autore negli anni ’80 di testi per Rai Radio 2 (per Lauretta Masiero, Giancarlo Dettori, Renzo Palmer), è anche autore di testi di narrativa (Assassini di carta, Marsilio,1987; In fuga con Frida, Marsilio, 1991; La vocazione del falco, Mondadori, 1998; Anime schiave, Editori Riuniti, 2002), saggistica (Invito alla lettura di Fulvio Tomizza, Mursia 1979; Fabrizio De André, Eda, 1982), e traduzioni (tra queste Tartarino di Tarascona di Alphonse Daudet, Sei editrice). Dalla sfida con un carcinoma del cavo orale è nato un diario della malattia raccolto in Stazione di sosta, cronaca di un cancro (Interlinea, 2015, nuova edizione 2016). L’11 aprile di quest’anno è uscita in libreria la sua ultima fatica letteraria: Ti ammazzerò stasera (Golem Edizioni). Si tratta di un romanzo giallo che affronta argomenti scottanti, come l’immigrazione clandestina.

Questa la trama ufficiale: un centro di provincia cresciuto rapidamente, non più paese e non ancora città, confuso tra un’identità di antichi valori che si faldano e una nuova identità ricalcata sul modello proposto con insistenza dai media. Qui sono state accolte e integrate nel tempo emigrazioni diverse, ma l’arrivo di profughi sistemati in un’ex caserma fa divampare con violenza l’inquietudine, la paura, il bisogno di nemici che rispecchiano il clima che stiamo vivendo oggi. Dopo il lancio di molotov nella struttura, la tensione irrompe in tutti gli ambienti che costituiscono il paese. Nell’arco di una giornata i pochi militari della stazione dei Carabinieri devono fronteggiare segnali di razzismo violento, l’irrequietezza dei rifugiati, il progetto d’omicidio messo a punto da un esaltato e due suoi gregari, la cecità di genitori, l’ira opposta di gente pacifica che si oppone al nuovo clima. Vittime designate di due azioni sono gli stranieri nell’ex caserma e un ex detenuto per omicidio che, scontata la pena, vive in una baracca fuori paese con un branco di cani randagi ed è l’unico a schierarsi dalla parte della legge. La mattina si annuncia un’azione violenta. I carabinieri cercano di arginare il disastro in un clima in cui più d’uno diventa pronto ad ammazzare. Chi, prima che la giornata finisca, riuscirà nell’intento?

Se vi ha incuriosito, leggete l’intervista allo scrittore!

Hai carta bianca e tre aggettivi per descriverti…
Antico, contemporaneo e curioso del futuro.

Mai senza…?
Un sorriso

Cosa ti piace leggere?
Alterno i classici con tutto quanto (narrativa, poesia, saggistica) mi svela che mondo c’era prima di me, in che mondo vivo e che mondo verrà.

Se dovessi esprimere tre desideri?
Che un virus sparga un contagio di umiltà.
Che uno specchio animato balzi davanti a chi sta per giudicare gli altri.
Per me solo: conservare lucidità fino all’istante finale.

La tua vita in un tweet?
Ho trascorso 40 anni, come giornalista, a “rubare” le vite degli altri, venendo invidiato anziché condannato e imparando a non dare alla mia più valore di quanto le spetti. Sono debitore verso tutti coloro che ho raccontato, cattivi e buoni.

Parlaci del tuo romanzo. A chi lo consiglieresti e perché?
Ho cominciato a scriverlo due anni fa credendo di lanciare un premonitore grido d’allarme, ora me lo ritrovo stampato tra le mani come racconto di un drammatico presente. Ai viandanti di librerie e a quelli in rete dico: leggetelo se avete voglia di sollevare il gigantesco tappetto della società e guardare gli inquietanti disegni che fa là sotto la nostra polvere.

Come sono nati i personaggi?
Li ho partoriti immergendomi come un sub, per mestiere, tra disperazioni, solitudini, gioie, speranze, illusioni, dolori di quanti incontriamo per strada o nei giornali o in tv, vittime e assassini, anime buone e anime sgomente. Non li ho archiviati uno dopo l’altro per passare al successivo, li ho portati con me, con stupore, pietas, spesso affetto.

Le ambientazioni scelte provengono dal reale o sono anche una proiezione dell’anima?
Ogni luogo è se stesso e ogni luogo è la percezione che ne ha chi lo vive o chi lo guarda. Chiacchierando della Genova d’un tempo, mi disse Fabrizio De André: “La nostalgia non è di un luogo di per sé, è nostalgia di noi quando eravamo lì”. Ineccepibile come sempre. In questo senso le ambientazioni del romanzo sono del tutto reali – fisicamente, geograficamente – ma elaborate da stati d’animo: un campo di granturco può essere una distesa di pace così come una distesa di mistero e pericolo.

Come puoi riassumere ai potenziali lettori il tuo romanzo? Qual è il messaggio che hai voluto trasmettere?
Siamo in un pacifico paesone ingigantito, senza più identità, non più borgo di campagna e non ancora città, appendice snaturata della metropoli. In un’ex caserma sono trasferiti 40 immigrati e questo scatena una bufera d’odio – spontanea e insieme pilotata – che degenera e contagia. Più d’una persona trova ragione per accoppare qualcun altro. Nell’arco di una giornata cercano di contrastare la violenza un gruppetto di carabinieri, un ex galeotto e i cani randagi che vivono con lui. Più che un messaggio ho la presunzione di offrire senza inganni un punto di vista sul rancore cieco che ci corrode.

Sei già al lavoro su un nuovo manoscritto?
Se per 40 anni ti abitui a vivere con un taccuino in tasca, scrivi anche senza un progetto. Quando mi diagnosticarono un cancro tirai fuori il taccuino e cominciai a prendere appunti. Dopo guarito mi ritrovai con un libro già scritto. Ora sto lavorando su personaggi nei quali credo che tutti possiamo un poco specchiarci: si divincolano in un costante ribaltarsi dei loro sentimenti.

Silvia Casini

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