The predator: recensione

Ben più di trent’anni sono passati da quel primo capitolo datato 1987, che portava la firma di John McTiernan in regia e metteva l’eroe action per eccellenza Arnold Schwarzenegger contro una feroce forza aliena, eppure Predator ancora fa proseliti, senza riuscire ad essere dimenticato, soprattutto grazie a quell’elogio al testosterone quale è e al suo modo preciso di saper dosare horror sci-fi con pura azione militare; da qui la sua fama lo portò al cospetto di un paio di sequel (uno del 1990 di Stephen Hopkins e un altro del 2010 di Nimrod Antal, ma con Robert Rodriguez in produzione) e di altrettanti cross-over con Alien vs Predator (uno del 2004 di Paul W.S. Andreson e un altro del 2008 dei fratelli Strause), dove il nostro cacciatore dall’oltrespazio se le dava di santa ragione con lo xenomorpho gigeriano per eccellenza.

Arriva ad includersi a questo appello di derivati un nuovo film dedicato a tale iconica creatura (creata e modellata a suo tempo dal compianto mago Stan Winston), The predator, un lungometraggio che funge da reboot e che vede al timone di regia il nome di Shane Black, genio sceneggiatore di Arma letale e L’ultimo boyscout – Missione: sopravvivere, qua alla sua quarta esperienza dietro la macchina da presa (dopo Kiss kiss bang bang, Iron man 3 e The nice guys). Ma cosa ancor più significativa, che lo vede essere coinvolto in questo progetto, è il fatto che lui c’era nel prototipo di McTiernan, avendovi preso parte come interprete (era il soldato Hawkins, il primo a perire sotto i colpi del “predatore”) e come ghost screenwriter.

L’idea di questo nuovo tassello è il voler rinfrescare per le nuove generazioni un mitico mostro cinematografico, entrato di diritto nell’immaginario grazie alla sua forza visiva e al suo look epocale; la storia di The predator è quella del soldato Quinn Mckenna (Boyd Holbrook), il quale, durante una missione, entra in contatto con un’entità aliena sconosciuta, o così sembra.

Infatti, una volta catturata questa temibile creatura, denominata “predator”, l’esercito decide di studiarla mentre al buon Quinn non rimane altro che rimanere chiuso nella prigione militare; cosa ancor peggiore, tutta la questione coinvolgerà ben presto anche il figlio di quest’ultimo, Rory (Jacob Tremblay), che tiene in casa qualcosa che il pericoloso visitatore rivorrebbe indietro.

Non fosse abbastanza, qualcos’altro di ben più pericoloso arriva dalle profondità dello spazio, rendendo ben chiaro che la specie aliena è molto più evoluta di quello che si pensasse.

La particolarità del franchise legato al titolo Predator è che qualsiasi film che ne è stato tratto, che siano sequel o cross-over, non si è mai avvicinato minimamente ai risultati ottenuti dal prototipo di McTiernan, cosa ovvia certo, ma qui parliamo di una serie di prodotti che a malapena arrivano alla decenza il più delle volte; non è da meno neanche questo The predator, anzi, ad essere ben chiari, è forse il titolo che maggiormente infama la gloria di questo serial.

Purtroppo, nonostante porti la firma della garanzia Black, questo reboot è un impasto e un miscuglio di cose già assaporate, ma è l’anonimia con cui tutto viene trattato che mette benzina sul fuoco, ponendo al servizio di questa trama bislacca un gruppo di personaggi dimenticabilissimi (il protagonista Holbrook inefficace, il più decente è il Nebraska Williams di Trevante Rhodes) e un’azione perenne, ma mai veramente coinvolgente e ben calibrata.

Piange il cuore vedere che la scrittura dei dialoghi non sia funzionale come è sempre stato nel cinema di Black, che qui stende lo script assieme all’amico Fred Dekker, quest’ultimo indimenticato regista di Dimensione terrore e Scuola di mostri; tutto ruota nell’assoluto nulla a parte un paio di battute (la migliore quella che confronta Whoopi Goldberg al mostro alieno).

Un vero e proprio passo falso questo The predator, un’occasione mancata che dalle premesse sapeva rendersi accattivante (la presenza di una creatura più letale, con tanto di segugi al seguito) e che invece porta dei risultati al di sotto della media, lasciando sì che lo spettatore, e soprattutto il fan di questa saga, possa rimpiangere i precedenti sequel e spin off poco lodevoli sfornati in passato; ed il che è tutto dire.

Mirko Lomuscio