Sono tornato: recensione

In tempi non molto lontani, ci è stato possibile assistere ad un interrogativo che non può lasciare indifferenti parecchie persone, ovvero: semmai Adolf Hitler tornasse ai tempi nostri cosa succederebbe?

Un quesito che il libro del tedesco Timur Vermes, intitolato Er ist wieder da, ha ben analizzato con grande riscontro di pubblico nel 2012 e che il film da cui è stato tratto nel 2015, Lui è tornato diretto da David Wnendt, sempre di nazionalità teutonica, ha ben approfondito col giusto occhio cinematografico, traendone delle somme non per niente da sottovalutare e importanti per capire ormai di cosa è fatta la nostra società d’oggi.

Adesso, sempre traendo spunto da quel materiale di forte impatto e dalle sue premesse accattivanti, è la nostra Italia a dire la propria in riguardo, utilizzando ovviamente colui che nell’epoca della Seconda Guerra Mondiale rappresentò essere il contraltare nostrano del mein fuhrer Hitler; ci riferiamo ovviamente al duce Benito Mussolini, contrastante figura politica che diede inizio al fascismo e che comandò il nostro paese sino alla sua morte, avvenuta il 28 aprile del 1945.

E se invece non fosse così? E se invece l’indomito statista fosse ancora vivo e si aggirasse nelle nostre città, come un qualsiasi fenomeno comico?

A tanto arriva questo Sono tornato, opera diretta dal Luca Miniero di Benvenuti al Sud (quindi un esperto in remake di opere estere), e che fa ricoprire il ruolo del duce a Massimo Popolizio, attore visto in Romanzo criminale di Michele Placido e in La grande bellezza di Paolo Sorrentino, ricoprendolo così di una responsabilità di non poco conto in un prodotto dall’umorismo altamente graffiante.

Tutto prende inizio quando nel bel mezzo di Piazza Vittorio, al quartiere Esquilino, appare dal nulla una figura ben nota del nostro paese, o almeno quello che sembra esserne un semplice imitatore; lui è Benito Mussolini e se ne va in giro rivendicando tutto quello che la sua politica ha perennemente profetizzato.

A venirgli incontro è il giovane regista televisivo Andrea Canaletti (Frank Matano), il quale vede nello sconosciuto delle forti potenzialità nel mondo dello spettacolo, tant’è che l’emittente per cui lavora decide di dedicargli uno show.

La cosa prenderà subito piede e il presunto Mussolini ammalierà le folle come gli è sempre riuscito anche in passato, con l’inquietante ipotesi che ciò che è successo allora possa di nuovo ripetersi.

Le tematiche sono forti e già come ci siamo resi conto nell’opera tedesca, Lui è tornato, anche qua contestualizzare ideali di ieri con società d’oggi rende i suoi frutti; ma ciò che maggiormente c’è di buono in Sono tornato di Miniero è tutto materiale che già apparteneva allo scritto d’origine (e al film tedesco che ne è venuto fuori). In questa versione italiana nulla di meglio è stato aggiunto in riguardo, anzi, quello che fa parte della farina del proprio sacco, risulta anche essere fin troppo deleterio alla messa in scena in sé; effettivamente la scelta di Matano, nel ruolo del ragazzo che viene coinvolto in questa faccenda, non dà riscontri positivi, ed i momenti più drammatici verso l’epilogo parlano (malamente) da soli.

Riscontro opposto, invece, è quello ottenuto dalla performance di Popolizio, il quale fa suo il personaggio del Duce e scimmiotta i suoi movimenti caratteristici in ogni fotogramma, tra parentesi satiriche e candid camera in mezzo alla gente comune.

Titolo forte della nostra cinematografia attuale, Sono tornato in fin dei conti è un lungometraggio che avrebbe potuto dare di più, dato che le analisi site alla base del racconto di Vermes ci sono tutte (soprattutto quella socialmente drastica del nostro paese e dell’influenza dei media su di esso), ma per via di alcune licenze italiote si ritrova a dover militare sulla linea del film interessante, senza mai rendersi veramente indimenticabile.

 

Mirko Lomuscio

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