School of mafia: recensione

Non è ormai un tabù il fatto che il mondo della malavita sia spesso e volentieri associato a qualche film comico, in modo da poter sdrammatizzare (sempre se ce ne sia bisogno) un argomento scottante che in varie parti del mondo lascia sempre qualche strascico di polemica e drammaticità; pensiamo a titoli come Terapia e pallottole con Robert De Niro e Billy Crystal oppure a Mickey Occhi Blu con Hugh Grant e James Caan, senza dimenticare anche dalle parti nostre vari tentativi di commedia all’ombra di questa piaga nostrana.

Uno degli ultimi esempi a riguardo qua da noi è stato Quel bravo ragazzo con Herbert Ballerina (al secolo Luigi Luciano), al quale si accoda ora, nel 2021, il qui presente School of mafia di Alessandro Pondi, che con il titolo interpretato dal succitato Ballerina condivide una simil trama; questa è la storia di tre rampolli italo americani, figli di alcuni boss della malavita che spadroneggiano tra le fila di New York, Donato Cavallo (Emilio Solfrizzi), Primo Di Maggio (Fabrizio Ferracane) e Vito Masseria (Paolo Calabresi).

Questi ultimi, genitori rispettivamente di Joe (Guglielmo Poggi), Nick (Giuseppe Maggio) e Tony (Michele Ragno), portano però sulla croce il fatto che il sangue del loro sangue non ne vuole proprio sapere di ereditare l’impero criminale che gli spetta, e dopo l’accidentale morte del boss Frankie Ghost (Tony Sperandeo) la probabilità che qualcuno di questi giovani dovrà portare avanti tale attività si avvicina sempre più.

E’ a questo punto che Joe, Nick e Tony vengono spediti direttamente in Sicilia, al cospetto di Don Turi (Nino Frassica), col fine di essere educati alla vita mafiosa, imparando tutto l’essenziale in materia e ogni singola azione criminale che ne consegue; ma il trio non si rivela proprio essere all’altezza della situazione e i momenti imbarazzanti non mancheranno per l’occasione.

A scanso di soggetti da trattare, il cinema italiano di tanto in tanto tende a voler far ridere il suo pubblico parlando di mafiosi e picciotti, nonostante l’argomento ispiri veramente poca simpatia e ilarità; rari esempi sono riusciti a riguardo da noi, forse su tutti Johnny Stecchino di Roberto Benigni, ma School of mafia non è proprio tra i titoli che rientra in questa cerchia, anzi, l’opera numero tre di Pondi (suoi i precedenti Chi m’ha visto e Tutta un’altra vita) è una visione che avanza in piena incertezza, mostrando una messa in scena e determinate performance come fossero descritti in un’opera seriosa, salvo però trattarsi a conti fatti di una commedia (e fatta male c’è da aggiungere).

Qua nulla viene ben amalgamato, dal tipo di linguaggio alle svariate parentesi a riguardo, creando (pochi) alti e (parecchi) bassi che disorientano non poco lo spettatore, stimolando in esso una noia di fondo di non poco conto; se la gioca poi maggiormente sulla presenza dei suoi interpreti questo School of mafia, ma se inserisci dei comici nati come Solfrizzi, Calabresi e Frassica e li sfrutti in contesti così seri è difficile che ne tiri fuori qualcosa di ironico, anzi, e non aiuta inoltre la presenza traino da pubblico giovanile dei tre giovani protagonisti Poggi, Maggio e Ragno, i quali risultano anonimi alla causa (forse solo l’ultimo spicca in qualche frangente, grazie al lato ambiguo del suo personaggio).

Inspiegabile poi la presenza di una Paola Minaccioni sicula e invecchiata,moglie di Don Turi/Frassica, un dettaglio che dovrebbe uniformare l’universo femminile della mafia e che invece riduce a macchietta lo stesso mondo delle donne siciliane, come fa anche la parentesi sentimentale tra Maggio e Giulia Petrungaro, inserita tanto per riempire lo svolgimento.

A conti fatti School of mafia è un titolo che strizza maggiormente l’occhio alla commedia americana, ma veramente non riesce a costruire adeguatamente un universo umoristico degno di nota e divertente, riesce solo a creare un vuoto immenso da un’operazione che a tratti risulta anche essere ambiziosa.

Mirko Lomuscio