Rocketman: recensione

E’ biografia mania nella settima arte; le vere vite di personaggi famosi, soprattutto musicisti e cantanti, sono ormai il tema principale di determinate pellicole, e il recente successo di Bohemian Rhapsody, storia del gruppo Queen e del suo iconico cantante Freddie Mercury, ne è la piena conferma, con tanto di premi Oscar vinti all’ultima edizione della cerimonia.

Sempre da una costola di quella pellicola, rappresentata da quel Dexter Fletcher che non accreditato completò l’operato del succitato titolo diretto dal licenziato Bryan Singer, arriva invece un’altra biography, cioè quella di Elton John, al secolo Reginald Kenneth Dwight, il grande cantautore inglese che ci ha regalato immense canzoni della musica pop, con una carriera cinquantennale che parte dagli anni ’60 fino ad oggi; usando per titolo uno dei suoi massimi successi, Rocketman è la storia di questo singolare personaggio dell’entertainment musicale, attraversando innanzitutto le difficoltà personali che il buon Elton ha dovuto affrontare nel corso della sua esistenza, dall’abuso di droghe ai suoi difficili rapporti con i genitori separati, una vita fatta di successi lastricati d’oro ma anche di bocconi amari da ingoiare.

A ricoprire i panni del grande John troviamo quel Taron Egerton che col noto cantante ha addirittura diviso la scena in Kingsman: il cerchio d’oro, quest’ultimo diretto da Matthew Vaughn che di Rocketman ne è produttore (mentre John ne è produttore esecutivo); la storia comincia direttamente quando il piccolo Reggie (Matthew Illesley) comincia ad avvertire un’insana voglia di saperne di più sul mondo della musica, imparando a suonare il pianoforte ed appassionandosi al coinvolgente rock’n’roll.

Gli anni passano e lui cresce, sino a divenire un musicista col nome d’arte Elton Hercules John (Egerton), uno dei più famosi cantautori del mondo, coadiuvato da una collaborazione importante come quella avuta col fondamentale Bernie Taupin (Jamie Bell), entrambi sulla vetta delle celebrità artistiche del momento.

Ma la lotta contro le droghe, gli eccessi, le relazioni burrascose con i suoi genitori separati, ovvero la madre Sheila (Bryce Dallas Howard) e il padre Stanley (Steven Mackintosh), la sua omosessualità celata, sono ulteriori elementi che complicheranno l’esistenza di un uomo realizzato come Elton, fino a fargli seguire la giusta strada per sentirsi libero.

Che scappi innanzitutto un paragone diretto col recente Bohemian Rhapsody è subito d’obbligo pensarlo, oltre al fatto che lo stesso Fletcher è stato regista di entrambe le opere, ma superato questo preconcetto possiamo direttamente dire che Rocketman è la folle bizzarra biografia di un personaggi altrettanto assurdo, quale è Elton John, e per arrivare a tanto azzarda a sorpresa ad un’impronta prettamente musical, dove a vincere sono le parole scritte dalle celebri canzoni realizzate dal creatore di Your song.

Non un film che si ricorda chissà per quale guizzo, questo Rocketman avanza narrando a modo suo la vera storia di questo artista a tutto tondo, analizzando basicamente una serie di rapporti con il suo contorno (il Taupin di un Bell sfruttato meno del dovuto, la Sheila di una Howard ben in parte) ed addentrandosi nelle situazioni intimiste che hanno fatto parte della vita di John (la sua complicata storia d’amore con l’impresario John Reid, qua interpretato da John Madden), traendone un’appiccicaticcia morale sulla ricerca di se stessi e caratterizzando il proprio protagonista con l’utilizzo dei suoi maggiori successi (Crocodile rock, Your song, Rocketman, The bitch is back, Saturday nigt’s al right for fighting); ed in tutto ciò il supporto di un Egerton camaleontico, vera mimesi del cantante inglese con una performance di notevole impatto.

Ma tornando al confronto con Bohemian Rhapsody questo biography ufficiale di Fletcher perde in emozioni, le quali vengono alla fine soppiantate da una narrazione che più di tanto non intende regalare, lasciandosi trasportare meramente dal mito indiscusso di Elton John, motivo trainante per cui assistere a questo lungometraggio basilare e, a tratti, ben gestito.

Poi nulla più.

Mirko Lomuscio