Respect: recensione

Nonostante sia scomparsa nel 2018, la voce e la musica di Aretha Franklin continuano a vivere e pulsare nei cuori e nelle menti di chiunque, grazie a quelle note acute che solo una “Regina del Soul” come lei poteva raggiungere, eletta a più voci nel corso del tempo come la miglior cantante di tutti i tempi.

Tale eredità artistica non poteva che spingere ai nostri giorni verso la realizzazione di un biopic come si deve, cercando di raccontare un determinato periodo della esistenza di questo personaggio della musica dalla vita abbastanza travagliata, tra lotte razziali e diritti sul mondo delle donne; è l’attrice premio Oscar (per Dreamgirls) Jennifer Hudson ad interessarsi a riguardo, producendo ed interpretando una pellicola commemorativa dell’immortale Aretha, lasciando la direzione dietro la macchina da presa all’esordiente in campo cinematografico Liesl Tommy.

Con un cast che comprende anche la presenza di Forest Whitaker e di Marlon Wayans, il qui presente Respect prende inizio dalla tenera età della nostra protagonista, la quale si esibiva di fronte ai numerosi amici di famiglia invitati dal padre predicatore C.L. (Whitaker) per poi finire a cantare direttamente nella chiesa dove quest’ultimo svolgeva le sue mansioni.

Una fase iniziale della sua vita che ben presto porterà in età adulta Aretha Franklin (Hudson) al cospetto di ricchi contratti discografici e drammi personali, come la lotta al razzismo oppure il travagliato matrimonio col violento marito e manager Ted White (Wayans).

Ma Aretha non ha intenzione di fermarsi di fronte a nessuna difficoltà, sapendo così urlare il proprio grido di libertà tramite le sue canzoni, brani ascoltati in ogni parte del mondo, elevandola di conseguenza a personaggio dal successo ineguagliabile.

Utilizzando la complicata esistenza della nota artista soul, la pellicola Respect, appoggiandosi sulla sua struttura da opera biografica, intende anche voler parlare di determinate situazioni sociali dell’epoca descritta, in modo da poter elevare tutto il significato che si cela dietro il successo di una donna come Aretha Franklin.

Ma quello che sfugge alla regista Tommy è proprio il fatto che nel tentativo di voler sviluppare un aspetto di questi contesti, finisce con il dimenticare l’altra parte del tutto, senza approfondire adeguatamente lo sviluppo degli eventi circostanti alla nostra protagonista; i drammi familiari, la violenza di pedofilia subita da giovanissima, la precoce gravidanza, la vita matrimoniale e tutto il resto che le ruota attorno (tipo i rapporti con i movimenti di Martin Luther King), questi sono solo alcuni degli elementi che avrebbero meritato maggior attenzione, ma nel seguire la carriera della Franklin questo Respect perde colpi nella narrazione e si lascia fagocitare da una regia poco ispirata a livello cinematografico (la derivazione televisiva della Tommy si sente tutta).

Salva un po’ il tutto la performance di una Hudson in parte, la quale anche momenti cantati riesce a dare il degno tributo all’operato della Franklin, sfoggiando tutta la sua indole da vocalist quale è, ma ben poco può fare di fronte ad una narrazione incerta e poco incisiva, soprattutto se si tratta di assistere ad un’opera della durata di due ore e venticinque minuti, ed il che getta tutto in un calderone pieno di noia.

Respect ha il pregio di aprire pagine mai abbastanza citate appartenenti alla dura esistenza della Franklin, ma la sua colpa è proprio quella di non approfondire tali momenti, quasi a volerli lasciare come parentesi di riempimento e fine a se stessi.

Non è un trattamento meritevole nei confronti della “Regina del Soul”.

Mirko Lomuscio