Qui rido io: recensione

Vero e proprio monumento della teatralità partenopea, Eduardo Scarpetta è un nome che ha cavalcato le soglie del tempo grazie alla sua eredità artistica, la quale ha portato avanti il concetto di umorismo e grande recitazione con grande professionalità, soprattutto grazie a quello sguardo mai datato sempre intenzionato a voler parlare dell’Italia che tutti conosciamo, uno sguardo poi ereditato nel tempo dai suoi discendenti, fratelli De Filippo in primis (Titina, Eduardo e Peppino).


Davanti a questo immenso valore artistico è quindi il regista Mario Martone a farsi carico di voler raccontare una parentesi delicata del grande Scarpetta, utilizzando per protagonista l’attore numero uno dell’attuale panorama italiano, Toni Servillo, e costruire sulle spalle del suo istrionismo una caratterizzazione degna di nota del creatore di Miseria e nobiltà.

Con Qui rido io siamo ai primi del ‘900 e Scarpetta (Servillo) calca le scene con la sua compagnia riscuotendo moltissimo successo in giro per l’Italia, questo portando con sé nel cuore l’amore dei svariati familiari che lo circondano, tra figli riconosciuti e non, come i piccoli Titina (Marzia Onorato), Eduardo (Alessandro Manna) e Peppino (Salvatore Battista), avuti dalla giovane Luisa De Filippo (Cristiana Dell’Anna), nipote di Rosa Scarpetta (Maria Nazionale), sua moglie.

La maschera di Felice Sciosciammocca, protagonista di Miseria e nobiltà, è la celebrità di tutta Napoli e sullo sfondo di tutto ciò Scarpetta intende sempre più rinnovarsi per divertire il suo vasto pubblico, cercando di ingegnare cose nuove e ricercate; galeotta è quindi la visione dell’opera teatrale La figlia di Iorio di Gabriele D’Annunzio, la quale spinge il nostro autore partenopeo a creare una parodia della stessa opera dannunziana, intitolata appunta Il figlio di Iorio, cercando di valicare una soglia dell’intrattenimento fino ad allora impensabile, la parodia di un autore intoccabile.

Tale gesto creerà però i suoi tristi risultati; nonostante l’iniziale consenso, D’Annunzio farà causa ad Eduardo, spingendolo verso una crisi artistica che vedrà quest’ultimo alle prese con atti legali e quesiti incerti sul suo futuro.

Ma l’amore per i propri cari è molto più profondo di ciò che ci ostacola e Scarpetta affronterà una sua personale battaglia contro la rigidità del paese italiano a testa alta, senza mai dimenticare la sua dimensione di attore.

Sulle prime, affrontare una storia del genere potrebbe intimorire qualsiasi regista nostrano, soprattutto se partenopeo come Martone stesso, ma, senza mezzi termini, il creatore de L’amore molesto e Noi credevamo riesce a tirar su una pellicola di cui andrebbe fiero anche lo stesso Scarpetta: Qui rido io è un biografico che colpisce nel segno e neanche poco.

Tralasciando l’immensa bravura di un Servillo in cerca di premi e riconoscimenti, ma questo non c’è neanche più bisogno di precisarlo, ciò che più preme notare in questo lungometraggio è la coerenza narrativa con cui si decide di voler affrontare questa parentesi delicata di Scarpetta, analizzando perfettamente la dimensione artistica dell’epoca e la validità del teatro nel mondo dell’intrattenimento, porgendo sopra un palco ogni singolo personaggio che vedi passare durante la visione.

Utilizzando un nutrito cast di volti validi e imponenti della recitazione napoletana (oltre ai succitati anche la presenza di Iaia Forte, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Antonia Truppo, Roberto De Francesco), Qui rido io è un’opera che parla di famiglia dentro e fuori le scene, togliendo ogni linea di confine tra chiunque entri a far parte dell’universo di Scarpetta; intenso infatti è il rapporto tra il noto autore e i fratelli De Filippo (interpretati dai bravi Onorato, Manna e Battista), altro centro nevralgico su cui Martone, assieme alla co-sceneggiatrice Ippolita di Majo, tende a voler focalizzare, traendone così un racconto fatto di toccante amore per l’arte e per i propri cari, nonostante la rigida ombra della censura e del pensiero politico dell’epoca complichino non poco le cose.

Ma la vita è un teatrino senza fine, nulla lo fermerà e niente sarà in grado di placarlo, e Qui rido io ce lo ripete costantemente, fotogramma per fotogramma, grazie alle intense interpretazioni dei suoi protagonisti e alla grazia con cui Martone si lascia andare, realizzando senza ombra di dubbio una delle sue migliori pellicole.

Mirko Lomuscio