Priscilla: recensione

Sarà forse la lontana parentela che ha avuto con i Presley, dato che suo cugino Nicolas Cage è stato sposato con la figlia di Elvis, ma tutto si poteva pensare tranne che Sofia Coppola potesse dirigere un film su Priscilla Presley, giovanissima moglie del re del rock che nel corso della sua vita, e carriera, ha intrapreso anche il campo della recitazione, se ben ricordiamo la trilogia Una pallottola spuntata.

Traendo ispirazione da un libro di memorie scritto dalla Presley stessa scritto con Sandra Harmon, la figlia del ben noto Francis Ford realizza quindi con questo Priscilla il suo ottavo lungometraggio, parlando di una figura femminile docile e fragile nel mezzo di un’America che va dagli anni ’50 ai ’70, mettendo a nudo l’intimità di coppia che c’era tra la protagonista e il suo indimenticato marito Elvis.

A ricoprire i panni della protagonista troviamo la giovane Cailee Spainey, qua premiata con la Coppa Volpi al Festival di Venezia 2023 e recentemente sui grandi schermi anche nel futuristico Civil war di Alex Garland; lei è Priscilla, un’ adolescente degli anni ’50, figlia di un ufficiale militare, che ha la fortuna di conoscere l’idolo delle masse, il cantante rock Elvis Presley (Jacob Elordi), tanto che quest’ultimo sente di volerla accanto a sé nella propria casa a Memphis, Graceland.

Trasferitasi in quella che sembra essere una reggia dorata, la ragazza ben presto dovrà scontrarsi con le debolezze e i difetti di un personaggio di successo quale è il suo uomo, spesso assente perché in giro per tournè o alle prese con le riprese di qualche lungometraggio.

Questa lontananza, come anche la prigionia in quella enorme casa piena di gente che lavora per Elvis, faranno sentire in Priscilla un forte senso di voler avere di più e di voler far udire la propria voce come anche la propria indipendenza.

Senza alcun guizzo creativo che spingesse questo biography verso chissà quale discorso personale, la Coppola con il suo Priscilla realizza un qualcosa che veramente non intende sviluppare più di tanto la propria protagonista, lasciandola fine a se stessa e vittima di una narrazione stantia, la quale si arricchisce solo di determinate scelte musicali anacronistiche e non, con canzoni come Baby i love you dei Ramones, Venus di Frankie Avalon, Crimson & clover di Tommy James & The Shondells, Let me in dei The Sensations e You,baby delle Ronettes, le quali si alternano in questo racconto.

Inoltre, ciò che maggiormente si evince in questo biography, è la voglia di descrivere un lato oscuro del re del rock, qua riportato da un Elordi misurato, il cui stile di vita ambiguo ed estremo viene messo su una lente d’ingrandimento, grazie alle scottanti testimonianze della stessa Presley.

Ma non per questo si può dire che Priscilla sia un film sincero, perché in fin dei conti dello stesso personaggio che dà il titolo al film poco ne viene fuori, lasciando che a riempire la scena sia quella malsana voglia di criticare l’Elvis uomo, personaggio vittima di determinati fattori esterni alla propria esistenza ed il che mobilita maggiormente la morale anti patriarcale che c’è tra le righe di questo film.

Se si fosse deciso di voler fare un’opera dedicata esclusivamente a questo argomento ben venga pure, ma decidere di usare un personaggio capro espiatorio e sviarla così in malo modo non giustifica tante scelte fatte in Priscilla, come anche non giustifica la Coppa Volpi vinta al Festival di Venezia, per quanto la stessa Spainey ci regala una performance di normale fattura e basta.

Mirko Lomuscio