L’età ridicola: recensione

Ho trentatré anni. Tante volte osservo il mondo pensando di essere giunta a una visione definitiva. I trent’anni… questa strana età di passaggio tra quello che si è stati e quello che si vuole, davvero, diventare.

Sulla mia bocca affiora spesso la parola “empatia”, ma mi accorgo che pur con tutta la sensibilità che possiede, una persona non sarà mai in grado di vestire perfettamente i panni di un’altra.

Me ne rendo conto tra le pagine di un libro, che sono state come una sorta di lettera aperta.

Parlo di L’età ridicola, di Margherita Giacobino.

Sono entrata nella testa di una vecchia di quasi novant’anni, come mai ho fatto prima.

“La vecchia” è il termine che la etichetta per tutta la storia.

Vecchia, è come lei si sente, senza se e senza ma, senza troppe parole che indorino la pillola.

Artritica, con gli arti, la vista e la memoria vacillanti e il cuore mutilato, marchiato per sempre da eventi sofferti della vita che si pensa il tempo cancelli e invece non fa.

Ho trovato sorprendente l’intensità delle emozioni descritte. Un viaggio introspettivo dentro un’età non mia. Ogni sensazione pungente come un ago su un polpastrello. Dolore che si irradia, giungendo proprio lì, in quel cuore forte che a dispetto dei pensieri realisti e lucidi, non ne vuole sapere di spegnersi.

Pensa di non avere più un posto utile nel mondo. Aveva fatto un patto con la morte, e la morte non l’ha rispettata, l’ha doppiamente beffata.

Ma ha troppe questioni irrisolte per abbandonare i battiti a se stessi.

La vecchia vive sola in un appartamento che porta ancora nelle pareti, tra i cassetti e negli armadi, l’essenza di un’altra donna: Nora. La sua amata Nora. La sua amica, la sua amante, la sua donna. Erano invecchiate insieme, ingannando il tempo con la voglia di vivere l’amore e la passione che le univa, giorno per giorno.

Erano diventate una certezza l’una per l’altra ma di certo nella vita, si sa, c’è soltanto la morte. È così che Nora se n’è andata. Hanno perso l’impari battaglia con la malattia. L’unica cosa di lei che rimane alla vecchia è un gatto che avevano trovato e salvato insieme, Veleno. E il tormento che ogni giorno, quando meno se lo aspetta, irrompe ancora nella sua vita.

C’è Malvina, sua amica da sempre. Vecchia quanto lei ma apparentemente più ingenua. Attaccata al sottile filo della vita per non cadere nel burrone della demenza. Intoccabile, agli occhi della vecchia, che sente di doverla proteggere e soffre di una sofferenza commovente al pensiero di perderla. Il suo ultimo appiglio alle cose di prima. L’amica da strattonare per sfogarsi, quella che rimane… nonostante tutto.

La vecchia mangia pane e cinismo. È arrabbiata, non ha più le energie per perdersi dentro giri di parole. È diretta, diffidente e stanca di queste inutili giornate che si ripetono. Però è anche sorprendentemente forte, ancora. La vitalità che l’ha accompagnata nei suoi giorni migliori scorre ancora come un fiume impetuoso dentro di lei. Si arrabbia, non vuole arrendersi al tempo ma ha la consapevolezza chiara e toccante di decidere fermamente cosa fare di quel che ne rimane.

E poi c’è Gabriela, la sua badante. La presenza di Gabriela da alle pagine una strana ambiguità. A vederla con gli occhi della vecchia ci si aspetta tradimento da un attimo a un altro.

È straniera, Gabriela. Si sono conosciute parlando due lingue differenti. Diffidente quanto e forse più della vecchia, la ragazza si chiude al mondo, alla sua pessima famiglia. Nei suoi occhi c’è un’antica paura che si fa nuova. Soltanto a casa della vecchia può permettersi di sognare una vita che le piacerebbe. Calma, dove la gioia è fatta di piccole cose tranquille come accarezzare le lenzuola appena stirate che profumano di pulito.

Non si rendono conto di essere linfa una per l’altra.

Gabriela trascorre molte ore del suo tempo per la vecchia, donando però ogni giorno un po’ di se e della sua tenera età a  quell’eta così ridicola della vecchiaia.

Una lettura che si fa fatica a interrompere, una presa di coscienza e di cuore che aggiunge sensibilità alla sensibilità.

Un finale inaspettato, che tutto sommato… non può che far sorridere.

 

Erika Carta

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