Il circo: recensione

Breve, prezioso, profondo. Di cosa stiamo parlando? Del libro Il circo di Miranda Mellis (edito da Wojtek edizioni e tradotto da Monica Pezzella), che con una prosa in grado di unire l’invisibile al surreale, i dettagli alle sfumature, la dolcezza alla malinconia, la poesia allo spettrale, regala ai lettori un affresco vivido e originale dell’aldilà.

La storia narrata, infatti, sconfina nella vaghezza magica e fa “vivere” sulla carta una landa inimmaginabile, dove i morti non sono né in Paradiso né in Inferno, ma un in un regno di mezzo, accessibile grazie a strambi traghetti, e dove i sogni sono come film e la gelatina verde è l’unico elemento gastronomico. La protagonista è Lucia che finisce in questo bislacco mondo e incontra sua madre, Silver, una funambola, la cui morte (un suicidio?) l’ha perseguitata per tutta la sua vita. E mentre viaggerà nell’oltretomba assieme a un incessante flusso di anime smarrite e visiterà stazioni sotterranee che “indossano” il nome di famose opere pittoriche, la sibillina Silver le svelerà un segreto fondamentale per comprendere le regole sottostanti la dimensione ultraterrena. Così, ben presto, Lucia si renderà conto che tutti, lì, sono in attesa di ricevere un ignoto messaggio, mentre si nutrono di molliccia e gommosa confettura in stile blob e guardano i sogni come fossero interminabili pellicole.

In buona sostanza, l’intero romanzo si fonda sulla forza redentrice della rimembranza, perché noi siamo la nostra memoria. Ogni parola sparsa nel testo serve a stabilire delle coordinate invisibili contro l’oblio. E in fondo, se ci pensate bene, Il circo, contiene lo stesso messaggio pregno di significato di opere cinematografiche destinate a un vasto pubblico, come Coco (Disney•Pixar) e Quando c’era Marnie (Studio Ghibli). È indiscusso: esiste un cerchio etereo, un filo rosso che ci unisce tutti… vivi e morti. Sì, è così. Di fatto, i morti e i vivi devono avere il coraggio di ricordarsi gli uni degli altri, di cercarsi e di capirsi, perché solo in questo modo potranno concedersi una seconda opportunità di comprensione e attivare una continuità impalpabile, ma degna di nota.

D’altronde, Miranda Mellis ha detto che “essere scrittrici significa reagire”. Di conseguenza, anche rimembrare, fantasticare, sconfinare in altri luoghi possibili è pura resilienza. Il suo romanzo, invero, deriva anche dalle sue origini. La sua è stata una famiglia di circensi e lei stessa ha lavorato in un circo, o meglio nel più piccolo circo del mondo. E quando sua madre morì, Miranda Mellis la sognò spesso; vedeva nella coscienza onirica la rara occasione di un incontro, verbale e non, che l’esistenza terrena non le avrebbe più potuto concedere.

“Dimenticare che qualcuno è morto significa pensarlo ancora vivo; ricordare che è morto vuol dire dimenticare che è vivo”.

Non a caso, nel testo, il circo è legato all’aldilà e ai sogni, perché come le anime erranti, le famiglie circensi non fanno altro che girovagare di continuo. In pratica, è una versione ridotta ed emblematica dell’ignoto.

In conclusione, leggete Il circo, perché la sua non scontata e bella prosa, al contempo lirica e precisa, vi farà riflettere e attraversare coordinate geografiche inesistenti. Vi condurrà, come in un vero e proprio spettacolo viaggiante, in un luogo di transizione, e tra mitologia greca, riferimenti danteschi e omaggi ai classici inglesi, verrete catapultati in un altrove, dove la chiave di tutto è e sarà sempre la memoria, l’unico potente strumento umano in grado di farvi esplorare il sensibile e farvi apprezzare il prodigioso atlante onirico dell’invisibile.

Silvia Casini

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