Il bacio impossibile

La storia partecipa al contest ‘cause it’s hard love di mel-ker sul forum di EFP. Eccomi qui di nuovo a tentar di scrivere qualcosa di decente in un fandom che ho sempre amato Fantaghirò.

La coppia Tarabas/ Fantaghirò è sempre stata il mio sogno, la mia OTP dell’infanzia, spero di aver azzeccato il tema del contest, e di aver reso comunque il senso di dolore e di impossibilità che prova Tarabas ad amare Fantaghirò, e a non poterla avere.

Chi non si è mai trovato a provare un amore non corrisposto?

Tarabas soffre perché si vede portare via il cuore di Fantaghirò da Romualdo, che è il grande assente/presente di tutta la storia, eppure alla fine in qualche modo viene a patti con questa realtà, sempre per amore di lei. Spero di non essere andata troppo OOC con il personaggio di Tarabas.

Buona lettura.

Ladyhawke83

And I’d give up forever to touch you

‘Cause I know that you feel me somehow

You’re the closest to heaven that I’ll ever beAnd I don’t want to go home right now (1)

Tarabas vagava ormai da tempo senza avere una meta precisa. Tutto ciò che sapeva, l’unica cosa che gli era chiara, era che non avrebbe più fatto ricorso alla magia, in nessun caso. Si aggirava per lande sconosciute, boschi e sperduti villaggi, comportandosi come un comune mortale. Lui, il più potente e malvagio stregone di tutti i tempi, ora vestiva i panni di un essere umano, solo per non pensare di essere stato, un tempo, “colui che non doveva esser nominato”.

Ora voleva solo essere Tarabas e nulla più.

Lo aveva promesso a lei.

Per lei aveva rinunciato a tutto: al potere, al suo regno, alle sue certezze, alla sua malvagità.

La dolce Fantaghirò era riuscita laddove tutti avevano fallito. Persino sua madre, la temuta regina Xellesia, seppur con tutte le arti oscure a disposizione, con la forza della mente, unita a quell’atteggiamento morboso che aveva sempre avuto verso di lui, era riuscita a piegarlo.

Tarabas era stato cresciuto nell’oscurità e nel terrore, nella logica del debole sopraffatto dal più forte. Lui, giovane signore di un Regno edificato sul dolore, sullo strazio, e sulla paura, doveva seguire le orme di suo padre, il potente e terribile mago Darken.

Per anni Tarabas aveva vissuto una menzogna, alimentata da quella serpe di sua madre, che aveva cercato fin dai suoi primi vagiti, di usarlo solo come una pedina contro Darken, per sottrarre a lui il potere e il dominio su tutte le terre degli uomini. Per fare ciò, Xellesia, aveva convinto Tarabas che il male e l’ oscurità fossero le uniche vie percorribili. 

Così credeva lui, senza sapere che in verità la madre lo aveva sempre  amato, ma aveva finto disinteresse per proteggerlo dal suo stesso padre.

Se non fosse stato per quella profezia, che identificava in un giovane figlio di Re, la caduta del suo potere, Tarabas non avrebbe mai incontrato Fantaghirò, non avrebbe mai udito la sua rabbia e la sua determinazione. Quella donna, una semplice principessa, una comune mortale, lo aveva sfidato. Aveva invocato il suo nome senza mostrare alcun segno di paura, solo per poter salvare il suo amore, quel suo Romualdo, trasformato in una statua, dallo stesso incantesimo lanciato da Tarabas, Fantaghirò non sarebbe mai giunta a conoscenza della sua esistenza e, di contro, lui non se ne sarebbe perdutamente innamorato, mettendo in discussione ogni cosa imparata fino a quel momento.

Da giorni lo stregone esiliato vagava per quei luoghi esotici, che la gente del posto chiamava Colline blu, ovunque volgesse lo sguardo, egli scopriva strani animali, e una vegetazione lussureggiante, quasi sensuale nello strano modo di accogliere il suo lento incedere senza su sentieri poco battuti.

Non c’era da meravigliarsi, così si diceva fosse l’Oriente: una terra misteriosa, ricca e fertile, così tanto diversa dai luoghi in cui era sempre vissuto Tarabas. Eppure una preoccupazione crescente lo attanagliava da tempo, precisamente dal giorno in cui aveva incontrato quella principessa bisbetica e capricciosa. La giovane si chiamava Angelica, ed era in fuga dal padre, e si era spinta fin lì,  in quelle lande isolate proprio in cerca di lui, Tarabas, il potente stregone di cui la sua gente vociferava..

La principessa dai lunghi capelli corvini e dagli occhi troppo belli, lo aveva implorato di aiutarla, di usare i suoi poteri per sconfiggere la carestia che imperversava nel suo paese.

Tarabas era rimasto impassibile, continuando a sostenere che mai più sarebbe ricorso alla propria magia oscura.

Lo stuolo di servitori e dame che l’accompagnavano non si era curato di lui, solo un bambino lo aveva fermato, chiedendogli se non avesse paura di viaggiare da solo.

“Io non ho paura di nulla” aveva risposto Tarabas, piuttosto seccato dall’atteggiamento invadente, e per nulla intimorito, del ragazzino.

“Tu piuttosto…” gli aveva domandato Tarabas “perché viaggi da solo? Non hai una famiglia, un posto dove stare?”.

“Ce l’avevo…” era stata la risposta del bambino dagli occhi grandi e curiosi “purtroppo la nube nera si è portata via il mio castello. Sai io sono un principe, o almeno, lo ero…” continuò con un velo di tristezza nelle parole, per poi tornare subito allegro.

“E comunque non sono solo, sai?” Ho incontrato una persona che mi ha salvato! Senza di lei quei tre cavalieri-demoni mi avrebbero ucciso! Anche lei ha perso il suo castello, come me… spazzato via come una foglia secca dalla nube e dal vento magico”.

“Capisco… puoi portarmi da questa persona?…” Chiese Tarabas rimanendo sul vago.

“Certo ma, a meno che tu non sia uno stregone, o qualcosa del genere, non credo tu possa fare niente contro tutto questo… è  oscuro e potente…” disse il ragazzino facendosi serio in volto.

“Si dà il caso che io lo sia stato, uno stregone. Io mi chiamo Tarabas…” esordì lui, credendo che l’altro sapesse con chi aveva a che fare.

“Ah sì? Tarabas eh? No… mai sentito nominare” disse il ragazzino scrollando le spalle tranquillamente.

Tarabas non si accorse dello strano luccichio sinistro che attraversò lo sguardo del giovane principe quando egli sentì il suo nome, un sorriso sbieco alterò impercettibilmente il volto del bambino, ma nessuno, nemmeno Tarabas poteva immaginare chi si celasse dietro le sembianze esili e innocenti del principe bambino (2).

“Io comunque mi chiamo Parsel. Ora seguimi, i miei indovinotteri hanno bisogno di uscire un po’ dalla loro sacca, e se non torno presto, chi la sente più lei!” Disse il ragazzino roteando gli occhi al cielo e agitando un sacchetto di pelle, dentro il quale sono custoditi strani insetti colorati.

Tarabas seguì Parsel su e giù dai sentieri che attraversavano quella zona remota delle colline blu e, arrivato quasi al limitare del bosco, si fermò, poiché si era fermato anche il ragazzino, lasciando liberi gli indovinotteri, prima di entrare in una piccola grotta.

“Sono tornato! Ho portato con me una persona…” gridò Parsel, con voce squillante.

Lui si chiama…” Parsel fu interrotto dalla voce della sua compagna di. Viaggio, che nel parlare tradì una certa emozione.

“…Tarabas” Disse una dolce e inconfondibile voce.

“Fantaghirò… Che cosa ci fai qui?” Chiese lui, smarrito e incredulo, leggendo negli occhi di lei il suo stesso stupore.

Fantaghirò non rispose, ma gli corse incontro abbracciandolo e sorridendogli con quel suo sorriso da far male al cuore e quel suo profumo inconfondibile.

“Il mio castello… il mio castello, Tarabas, è stato portato via dal vento e dalla nube nera, subito dopo che Parsel e io siamo scampati ai tre demoni” disse Fantaghirò staccandosi dal mago e guardandolo negli occhi.

Appariva così fragile, così addolorata la sua Fantaghirò, che Tarabas ebbe l’istinto di stringerla nuovamente a sé per tenersela contro, per consolarla, invece non si mosse, ma sul suo viso comparve un’espressione risoluta.

“Non preoccuparti Fantaghirò, ora sono qui, ti aiuterò a recuperare il tuo castello”

Tarabas era sincero, ma sentiva anche forte il desiderio che tutto si fermasse in quell’istante, per tenerla ancora un po’ con sé.

Era difficile amarla e non poterla avere.

“Le mie sorelle, Smeralda, il mio Romualdo… io devo salvarli Tarabas, devo!” lo pregò lei disperata. E lui a sentir nominare Romualdo ebbe un colpo al cuore, si sentì stringere le viscere e una leggera fortuna di rabbia e gelosia lo circondò, suo malgrado.

“A volte penso che non avrei mai dovuto lasciarti andare…” Ammise a Tarabas  quasi sottovoce, ignorando le occhiatacce scocciate del piccolo Parsel, che non amava sentire certi discorsi.

“Come?…” Fantaghirò non capì le parole di Tarabas, lo guardò con aria interrogativa, sfiorandogli il braccio.

Perché mi tocchi?

Perché mi stai vicino?

Perché il tuo sguardo mi ferisce più della tua spada?

Perché guardarti è così doloroso?

“Vorrei non averti mai concesso la libertà di tornare da lui, vorrei non averti mai donato il mio bacio impossibile…” Ammise Tarabas tra i denti, stringendo le nocche fino a farle sbiancare.

“Tarabas… perché dici questo? È stato proprio grazie al tuo amore per me, e per la dolce Smeralda, che io ho potuto riabbracciare Romualdo. Te ne sarò sempre riconoscente…”

Fantaghirò lo guardò dolcemente e, altrettanto dolcemente, gli sfiorò una guancia.

Tarabas si ritrasse, come scottato.

“Non voglio la tua riconoscenza, né la tua pietà, Fantaghirò. Io ti amo… perché non posso averti?” Ammise Tarabas che si sentiva in balia di quel sentimento così potente, eppure così inafferrabile e doloroso persino.

Ah… che noia! Amore, Amore, Amore! Non sapete parlare d’altro voi adulti! Quando sarò grande mi terrò ben lontano da questi pensieri…”(3) sbottò Parsel, ad un tratto, scocciato e fece per andarsene.

“Quando sarai grande, Parsel, l’amore sarà uno dei tuoi primi pensieri!” Gli gridò dietro Fantaghirò, mentre il ragazzino usciva dalla grotta.

“Speriamo proprio di no!” Gridò Parsel, prima di lasciarli soli.

Lei sorrise, e le si illuminarono gli occhi, mentre Tarabas, al contrario, sembrava essersi incupito ancora di più.

“Tarabas ascoltami, tu mi hai. Hai la mia amicizia. Io ti vorrò sempre bene, sarò sempre dalla tua parte…” Gli disse Fantaghirò costringendolo a guardarla.

“L’amicizia, che cos’è? È forse un tipo di amore? È come questa cosa che mi brucia dentro e mi fa desiderare di stringerti e baciarti ad ogni sospiro?”

Tarabas si avvicinò al suo viso, quasi a sfiorarne il profilo del naso, così vicino a quelle labbra meravigliose e proibite.

Fantaghirò indietreggio, ma non per paura, anzi, lo guardò quasi con tenerezza.

“No, l’amicizia non è come l’amore, o almeno non è come quello che tu provi per me, e io per Romualdo…” chiarì Fantaghirò sempre guardandolo.

“L’amicizia è un sentimento forte, è qualcosa che ci lega, ma con il desiderio, ma con l’affetto e il rispetto. Essere amici vuol dire volere il bene dell’altro, vuol dire capirsi, abbracciarsi, consolarsi, proteggersi…” Fantaghirò sembrò non trovare più parole, quando si scontrò realmente contro la portata delle parole che diceva, e ancor più quelle che non diceva, e che vedeva riflesse negli occhi verdi e meravigliosi di Tarabas. Nel suo sguardo c’era amore, un amore forte, puro, come quello che lei provava per il suo Romualdo, ed era per quello che lui l’aveva lasciata andare, a suo tempo, per salvare il suo amore, per non vederla soffrire. Fantaghirò lo sapeva e gli era grata, gli voleva bene, ma non poteva amarlo.

“E due amici non si baciano, vero?” Domandò ancora Tarabas annullando quasi ogni distanza dal volto di lei.

“Sì, Tarabas” rispose lei, “ma non come vorresti tu”.

“Hai paura di me? Del mostro che potrei diventare se cercassi di nuovo un bacio da te?” Domandò lo stregone, che si sentiva montare la bestia dentro, unita all’odio verso se stesso.

“No, non ho paura di te, non più. So che non mi faresti mai del male, come non ne hai fatto a Smeralda, quando la baciasti sulla fronte quel giorno…” le parole di Fantaghirò si scontrarono con il fiato caldo di Tarabas, che tratteneva quasi il respiro, da quanto erano vicini.

Lui poteva quasi strapparglielo quel bacio, prenderselo, rubarglielo con la forza, se necessario, solo  per appagare quel bisogno di sapere, di sentire il suo calore.

Era o non era il più potente dei maghi?

E allora perché faceva così male rinunciare a lei?

Perché non poteva essere Romualdo, anche solo per un attimo?

Solo per il tempo di quel bacio impossibile…

“Non posso baciarti Tarabas. Non sarebbe giusto, ti illuderesti e io mi sentirei come se avessi tradito il mio amore per Romualdo.

“E allora dimmi come posso fare per starti vicino come un amico, senza sentire questo dolore nel petto?” Chiese Tarabas alzandosi in piedi, mentre si allontanava dalla tentazione di quelle labbra così perfette, eppure così crudeli, da restargli sconosciute.

“Se è vero quanto dici, allora te ne prego, Tarabas, in nome dell’amore e dell’affetto che ci lega, aiutami a ritrovare il mio castello, e la mia gente… Forse non curerà il tuo mal d’amore, ma è questo che fanno gli amici…” disse Fantaghirò , accostandosi al mago, mentre lui se ne rimaneva in piedi, dandole la schiena.

Uno strano rapace fuori dalla grotta gracchiò, facendo sussultare Fantaghirò, e, nello stesso momento, anche Tarabas si voltò di scatto verso di lei, spaventandola.

Fu un attimo, per un solo istante, a Fantaghirò, parve di scorgere dietro quello occhi così caldi e sinceri, lo sguardo del vecchio Tarabas, di colui che non doveva essere nominato, il signore del regno dell’oscurità.

Poi quel lampo del passato scomparve, nascondendo il peso di certe scelte e di molte sofferenze, dietro un lungo sospiro, seguito dal silenzio.

“Ti aiuterò mia dolce Fantaghirò, in nome di questa nostra nuova amicizia…” decise Tarabas, calcando sulla parola amicizia che gli sembrava stonare e pungere nella bocca, come un veleno, che infetta e rovina ogni cosa, ogni possibilità di guarigione.

“Cosa sai della nube? Chi sono quelli che hanno attaccato Parsel?” Si sforzò di domandarle Tarabas, scacciando la sensazione di aver perso per sempre un’occasione.

“Sono cavalieri neri, demoni, che non so per quale ragione non ci hanno ucciso” rifletté Fantaghirò.

Se vuoi sconfiggerci giovane guerriera, cerca chi ci ha creati, trova il pensiero che ha generato la nostra crudeltà, risali alla fonte di tutto questo male: solo così noi cesseremo di esistere. Così mi hanno detto…” Fantaghirò si sforzò di riportare a Tarabas le esatte parole di quei tre cavalieri inquietanti, nella speranza che lui ci capisse qualcosa in più.

“E non hanno detto nient’altro? Nessun nome? Nessun luogo?” Indagò lo stregone spostandosi i capelli con le mani, come per concentrarsi.

“Ho provato a chiedere chi fosse costui, ma mi hanno risposto ancora più emblematicamente: “Cerca il suo nome e troverai la sua dimora. Ma attenta che spesso trovare significa anche perdere, l’inizio di ogni conoscenza può anche essere la fine di ogni sapere”.

Tarabas la guardò preoccupato e, per la prima volta in vita sua, si sentì confuso, non sapeva assolutamente come muoversi per aiutare la sua amata e il ragazzino che si faceva chiamare Parsel.

“Qualcosa mi dice che non sarà facile trovare il responsabile di tutto ciò, questa sembra essere un’impresa impossibile, più pericolosa del bacio che ci siamo scambiati, e sicuramente più insidiosa del pensiero più oscuro che io abbia mai fatto.

“Tarabas, tu ti sottovaluti” Gli ricordò Fantaghirò.

“No, dolce Fantaghirò, sei tu che riponi troppa fiducia in me, nel mio essere buono. Forse non sono così diverso dalla nube nera che divora ogni cosa”

Le parole delle stregone suonavano tristi, dure, soprattutto verso se stesso.

“In te, nei tuoi occhi, io vedo solo amore”.

Fantaghirò aveva il pregio, ma anche il difetto d’essere sempre sincera e di voler vedere a tutti i costi il buono negli altri. Così era per lei Tarabas, non il più cattivo tra i malvagi, ma un uomo buono che non sapeva come percorrere il proprio cammino.

“Il tuo cuore è nobile e buono, non saresti qui altrimenti. Sei fuggito dal male e dai luoghi oscuri e desolati nei quali tu stesso ti tenevi incatenato. Sei libero Tarabas e so che insieme ce la faremo… sconfiggeremo questa minaccia e ritroveremo la pace” Fantaghirò gli prese le mani e le strinse fra le proprie.

Tarabas ebbe un fremito. una scintilla di dolore andò a conficcarsi dritta al centro del suo cuore, e lì ci rimase, come per rammentargli sempre del suo amore non corrisposto e irrealizzabile.

Ah se solo io potessi vedermi con tuoi stessi occhi…

Tarabas non rispose, non subito, sospirò soltanto, scostandosi dal tocco gentile e prezioso di lei, incatenando i loro sguardi.

Le fece una promessa,  l’unica che poteva permettersi di mantenere.

“Con la magia, o senza, ti prometto che farò qualsiasi cosa per poterti restituire il tuo castello, la tua felicità, il tuo amore…”  Tarabas, ammesso ciò, se ne andò, non lasciandole il tempo, né il modo per rispondergli.

Non voleva la sua pietà, né la sua comprensione.

Gli faceva male pensare a come lei preferisse Romualdo a lui, ma voleva comunque che Fantaghirò fosse felice, Tarabas si occorse di desiderarlo, di volere il bene di lei sopra ogni cosa, nonostante avesse il cuore irrimediabilmente spezzato.

Era un uomo d’onore, uno stregone, e senza di lei non avrebbe mai scoperto un mondo oltre il velo di oscura incoscienza, che lo aveva sempre circondato fin da quando era bambino.

Fantaghirò gli aveva mostrato la luce. Lo aveva fatto sentire vivo, profondamente umano e fragile.

Lui era stato un mostro, lo sapeva, non lo poteva semplicemente ignorare, ma adesso sapeva anche di possedere un cuore, un cuore che batteva solo per lei, per la sua dolce, impossibile, Fantaghirò.

Il suo aiuto glielo doveva, dopotutto anche se faceva male amarla, di sicuro era una scelta migliore quella di sentire la sua mancanza, pur avendola vicina, che non l’arrendersi al richiamo del suo animo perduto, della sua vecchia vita, quella che non conosceva né sentimenti, né sogni.

Lui era Tarabas, colui che aveva reso possibile l’impossibile.

Sorrise mentre scorgeva nel cielo la prima stella della sera.

And I don’t want the world to see me

‘Cause I don’t think that they’d understand

When everything’s meant to be broken

I just want you to know who I am

Samanta Crespi

© Riproduzione Riservata

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Note al testo

  • Il brano citato in apertura, così come quello in chiusura, sono due strofe del brano Iris dei Goo Goo Dolls.
  • Qui L’allusione alla stranezza di Parsel è un richiamo al film Fantaghirò 4, dove a prendere le sembianze del principe Parsel, per ingannare sia Fantaghirò che Tarabas era stato proprio Darken, il responsabile della nube nera.
  • Frase praticamente tratta per intero dal film Fantaghirò 4, così come le altre segnate in corsivo, più avanti, nel testo.