Hotel Artemis: recensione

Recentemente di alberghi adibiti a luoghi abitati da soli iscritti/criminali ne abbiamo visti al cinema, se pensiamo alla trilogia cominciata nel 2014 dall’adrenalinico John Wick, e prendendo di sana pianta questa idea il neo-regista Drew Pearce, un nome che si è fatto le ossa scrivendo film come Iron man 3 e Mission: impossible – Rogue nation, decide di tirar su la sua opera prima, contestualizzando il tutto in un futuro prossimo critico ed in mezzo ad una vera e propria crisi sociale; è così che nasce il qui presente Hotel Artemis, un lungometraggio ambientato nel 2028 e che fa della coralità un suo punto di forza, dato che è arricchito dalla presenza di un cast variegato e assortito.

In testa troviamo una Jodie Foster invecchiata e piena di rughe, cui spetta il ruolo della protagonista denominata L’infermiera, ed al suo fianco, tra l’altro, la partecipazione del nerboruto Dave Bautista, della bella Sofia Boutella, del commediante Charlie Day, del giovane Zachary Quinto e del veterano Jeff Goldblum, un pugno di interpreti che uniformano il microcosmo di Hotel Artemis, cercando di innalzare la macchina emotiva che si cela dietro l’intricata storia del film.

Come già detto siamo in un futuro prossimo, dove per le strade impazza una rivolta popolare contro le autorità e la dittatura del paese; in questo contesto troviamo dei personaggi coinvolti in situazioni al di là del pensabile, ovvero gente dedita al crimine ed esperta del settore.

Rinchiusi in un albergo chiamato Artemis, adibito a clinica pronto soccorso e gestito da L’infermiera (Foster) ed il suo aiutante Everest (Bautista), questi, oltre ad essere feriti, si ritroveranno faccia a faccia, alle prese con una resa dei conti prossima ad implodere in un violento scontro; ci sono i fratelli Waikiki (Sterling K. Brown) e Honolulu (Brian Tyree Henry), appena scampati ad una rapina andata male, c’è la misteriosa e bella Nice (Boutella), c’è lo scontroso Acapulco (Day), più il grande capo Niagara (Goldblum), finanziatore e gestore dello stabile, che arriva accompagnato dall’ambizioso figlio Crosby (Quinto).

Tutti loro hanno qualcosa da nascondere e verso l’epilogo ben pochi sopravvivranno, perché una piccola guerra verrà combattuta tra le mura di quel palazzo art déco.

Si sa, quando hai una location stabilita ed un gruppo di attori dai nomi di richiamo, appoggiarsi alla coralità è il minimo da parte di un regista, e Pearce, conscio di tutto ciò, tira su uno script che possa essere all’altezza della situazione, creando dei dialoghi forti e ben impressi nello spettatore, in modo da poter caratterizzare profondamente i suoi personaggi.

Sta di fatto che più di una prima di parte di film è incentrato su questo espediente, rischiando di far girare a vuoto di tanto in tanto l’intero racconto e aprendo delle parentesi improvvise (e gratuite anche, come quella dedicata alla poliziotta interpretata da Jenny Slate), giusto per fare durata forse; nulla toglie però che Pearce abbia senso del dialogo e sappia come uniformare il microcosmo qua descritto, ma ciò che lascia in dubbio è la vacuità dell’operazione finale, che vacilla tra l’intenzione di creare uno sci-fi pulp degno di nota e l’idea che tutto ciò sarebbe stato meglio se presentato in un pilot televisivo, che in fin dei conti Hotel Artemis sembra essere.

Certo, questa pellicola può contare sulla presenza dei suoi affidabili attori, dove spicca un’invecchiata Foster e ci si lascia trascinare dal magnetismo della Boutella, ma di fronte al resto sembra essere poca cosa, trasformando quest’opera prima di Pearce in un titolo molto fine a se stesso, all’apparenza metafora di un andazzo sociale (ognuno dei protagonisti porta il nome di un luogo in giro per il mondo).

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Non proprio da buttare Hotel Artemis, rimane di fatto che ci troviamo di fronte ad una probabile occasione sprecata di assistere ad un prodotto adrenalinico ed originale, cha almeno una sua forza trainante la trova nella scrittura del suo autore; giusto per quello una visione la merita.

Mirko Lomuscio