Hammamet: recensione

In questa epoca di biography che vanno forte al cinema, tra opere che ricordano le vite gloriose di cantanti come Freddie Mercury (Bohemian Rhapsody) ed Elton John (Rocketman) ed altre che invece si incentrano sull’esistenza di stelle cinematografiche (da citare almeno in parte il C’era una volta a…Hollywood di Quentin Tarantino), in Italia si cerca di dare il giusto contributo a riguardo stilando film che parlano delle figure più emblematiche di ogni paese che si rispetti, ovvero i politici, coloro che hanno mosso le fila in epoche passate nel bene e nel male, lasciando un segno indelebile, sempre nel bene e nel male; lo ha fatto Paolo Sorrentino nel 2008 col suo bellissimo Il divo, dove parlava della vita del noto Giulio Andreotti, per poi ripetersi nel 2018 col dittico composto da Loro, descrizione attenta dell’esistenza privata di Silvio Berlusconi, entrambi i titoli nobilitati dalla presenza di un fenomenale Toni Servillo.

E’ Gianni Amelio ora a tentare lo stesso colpo, parlando di una delle personalità politiche più influenti del nostro paese, ovvero quel Bettino Craxi che fu Presidente del Consiglio in Italia nel bel mezzo degli anni ’80, nonché Segretario del Partito Socialista Italiano, esiliato verso fine decennio ad una vita travolta da scandali, corruzione e fughe verso paesi stranieri; ed è il luogo dove ha vissuto i suoi ultimi anni di vita a dare il titolo a questo film, Hammamet, un lungometraggio militato innanzitutto da un protagonista pronto a tutto come Pierfrancesco Favino per riportare in vita le impressioni crepuscolari di un Craxi al capolinea esistenziale.

La storia del film ripercorre la permanenza di quest’ultimo nelle terre tunisine, dove tra ricordi e rimorsi, rancori e pentimenti, il nostro ex-politico, ormai malandato, rivive emotivamente istanti e momenti emblematici della sua esistenza, andando incontro alla conoscenza di Fausto (Luca Filippi), figlio dello storico amico Vincenzo (Giuseppe Cederna), e agli sguardi dei suoi familiari, la moglie (Silvia Cohen) più i figli Anita (Livia Rossi) e Francesco (Federico Bergamaschi), traendone delle somme che lo porteranno al cospetto di rincontrare vecchie conoscenze come un amante del passato (Claudia Gerini) e un collega politico (Renato Carpentieri), fino al rincorrere con la mente i consigli del defunto padre (Omero Antonutti).

Prendersi la voglia (o la briga) di voler raccontare gli ultimi anni di esistenza di un uomo come Craxi qualcosa deve aver significato per Amelio, cercando magari di capire cosa ha spinto questo uomo politico a divenire ciò che poi l’Italia ha scostato col tempo e che ancora oggi tende a non dimenticare (non manca un incontro/scontro tra Bettino e dei furibondi turisti italiani nei suoi confronti); ma Hammamet non sembra porsi questi quesiti esistenziali, o ancora meglio, non sembra proprio voler dare delle risposte, limitandosi a seguire costantemente questa sagoma protagonista con fare abbastanza distaccato e clinico, senza prendere parti alcune e seguendolo nell’intimità totale, messo a nudo in tutta la sua innocuità (non innocenza, badate bene).

Solo che oltre a ciò, Hammamet poi non sembra avere altro da aggiungere, appoggiandosi esclusivamente sulle spalle di un protagonista fenomenale come Favino, truccato ugualmente (a cura del bravissimo Andrea Leanza) e coinvolto con tutto se stesso nei panni di un Craxi incredibilmente riesumato cinematograficamente, tant’è che quasi si stenta a credere che non sia ancora vivo davanti ai nostri occhi di spettatori cinematografici.

Per il buon Pierfrancesco si tratta di un ruolo epocale, con pochi pari al seguito, peccato che avvenga nel mezzo di un film poco incisivo, stabile su uno stile asettico (a tratti noioso) e che in conclusione non sembra neanche voler affondare le unghie quanto basta; giusto per la sua performance Hammamet merita di essere visto, ma nulla più.

Mirko Lomuscio