Giulia: recensione

Autore italiano underground, venuto fuori nel 2013 grazie ad un’opera prima toccata dal successo quale è Spaghetti story, Ciro De Caro, dopo essersi lasciato alle spalle il secondo film Acqua di marzo, datato 2016, fa tripletta realizzando una nuova opera, ma stavolta dal sapore femminile, essendo un titolo incentrato sulla singolare figura di una protagonista donna, un argomento che porta lo stesso De Caro verso un nuovo punto di vista del suo cinema.

Capitolino e dal sapore neo-realista, il cinema di questo piccolo autore anche qua continua a farsi notare grazie ad una caratterizzazione dolcemente periferica di una Roma sconosciuta ai più e altamente consona ad una vena malinconica, sempre ben accetta; con protagonista la giovane Rosa Palasciano, che ne firma anche la sceneggiatura assieme al regista stesso, Giulia, datato 2021, è la storia di una ragazza che vive senza meta, dopo essere uscita da una lunga storia tormentata e con la voglia di diventare madre a tutti i costi.

Lavorando in un centro ricreativo per anziani, la giovane fa la conoscenza di Sergio (Valerio Di Benedetto), uno squattrinato che vive in un appartamento assieme al coinquilino Ciavoni (Fabrizio Ciavoni); insidiatasi a casa dei due, Giulia si farà ben presto notare per il suo modo assurdo e complicato di affrontare la vita, rendendo le giornate difficili a suoi due nuovi amici, ma trascinandoli in una emblematico viaggio estivo all’insegna dalla propria conoscenza.

E’ un ritratto assai complicato quello mostrato da De Caro in questa sua terza pellicola; senza esibire un certo forzato compiacimento nei riguardi della sua assurda protagonista, resa da una Palasciano profonda e in parte, il nostro regista riesce a descrivere un certo decadimento morale della società odierna tramite tale espediente, trasformando questo personaggio sui generis in una sagoma accompagnatrice, tra discorsi che parlano di professioni e famiglie, di amori tormentati e voglia di maternità, di arte vissuta (il dialogo sulla terrazza, che vede la partecipazione del regista Francesco Maria Dominedò e dell’autore e scrittore Anton Giulio Onofri) e sognata.

Un compendio di argomenti atti a descrivere un sottotesto sociale capitolino avvolto nel pieno della pandemia da COVID-19, senza perdere di vista quello sguardo rosa che uniforma l’intero racconto.

Per il resto in Giulia De Caro azzarda a quella sua regia fatta di macchina a mano e montaggi frammentati, ben ritmati, con tanto di delineazione di personaggi tragicomici, che ondeggiano tra il poetico (la tenerezza di Ciavoni in alcune parentesi) e la commedia vera e propria (i vari scambi di battute dei rodati Di Benedetto e Cristian Di Sante, entrambi sodali del cinema di De Caro sin da Spaghetti story), appoggiandosi di conseguenza ad un’estetica neorealista e ad un’evidente filosofia di fondo truffautiana, la quale mischia amori, persone e speranze in una sola sottile linea narrativa.

Mirko Lomuscio