Dove più verde non si può

Mi siedo e scrivo scrivo, di tanto in tanto mi alzo, sgranchisco le ginocchia, le braccia, il collo, due passi intorno al tavolo e di lì a poco mi rimetto al computer, tre ore al giorno tutti i giorni, dalle nove alle dodici, che privilegio, non si può uscire e ne approfitto, scrivo scrivo, di argomenti ce ne sono e parecchi di questi tempi, tante sono le informazioni da smistare, anzi infinite, un gran lavoro, e se fossero tutte fandonie, chi avrà ragione non è dato sapersi, un luminare contraddice l’altro, una teoria quella opposta, il panico si alterna al sollievo e il buon senso ha ormai preso il volo, in quanto a ragionevolezza, sparita pure quella, mentre i sotterfugi della mente si stanno dando un gran da fare.

Siamo tutti pervasi da insolite sensazioni, meglio stare in casa, qui sì si sta al sicuro, almeno all’apparenza, e chi vuole più uscire, virus maledetto, chissà, quasi quasi mi piace, le giornate trascorrono intensissime, una cosa insegue l’altra, a raffica, vorrei potermi annoiare, ma non c’è verso.

Mi infilo in sentieri inesplorati sulle orme di questo insolito silenzio spettrale, al bando le sirene delle ambulanze e dei Vigili del Fuoco, il rombo degli elicotteri e delle macchine della polizia, devo cautelarmi perbacco, volto loro le spalle e fingo di non sentire, il cuore rallenta il suo passo, il respiro si acqueta, aguzzo le orecchie in un’altra direzione e per la delizia del mio udito mi focalizzo sul cinguettio degli uccellini, lo sbattere di ali delle mosche, il lieve sibilo del vento, la pioggia contro i vetri, un tripudio di emozioni, rilasso spalle e collo, raddrizzo la schiena, inorgoglisco il petto sfoggiando un portamento nobile e mi riallineo con la natura, che pace.

Già, la natura, i prati, le colline, i fiori, il giallo, il rosso, il verde, eh sì, il verde, da quanto tempo non lo vedo, come mi manca, mi affretto in soggiorno vicino alle mie rigogliose piante, le raduno, mi accuccio al loro fianco e le fisso, verdi sono verdi, ma non mi bastano, mi innervosisco, voglio un grande prato su cui scorrazzare felice, cerco di immaginarmelo, ma non è sufficiente, sbircio dalla finestra, che delusione, emerge un colore su tutti, il grigio, grigio scuro, grigio ardesia, nero, nessun prato all’orizzonte, nessuno, solo cemento e una strada deserta, finestre e balconi spogli, cambio visione, mi affaccio sul retro, il nulla, reclino il capo pensierosa quand’ecco un sorriso svetta sul mio viso, apro il computer e mi rifocillo di panorami verdissimi, spalanco gli occhi, infilo scarpe comode e corro all’impazzata tra i fiori di un immenso prato nei Pirenei, balzello gioiosa di qua e di là, mi sdraio sotto un albero secolare, la schiena aderente il suolo e il torace gonfio di aria pura, accolgo ogni profumo, che pace, mi alzo di scatto avida di nuovi panorami e con un salto lungo chilometri in un battibaleno mi ritrovo in Québec tra verdi distese, altra lingua altre emozioni, sorrido tra me e me, posso finalmente andare ovunque senza interminabili voli, check-in, code, prenotazioni, hai pagato il visto, e l’assicurazione, quando ti scade il passaporto, hai controllato come sarà il tempo là, cosa devo mettere in valigia, mio Dio non ho cambiato i soldi, chissà se ce la farò, il fuso orario, la lingua, che stress, no, niente di tutto ciò, con un balzo mi ritrovo magicamente in India, nella foresta amazzonica o nei parchi della California dove più verde non si può.

Sono ancora libera di sognare, mi sa che di qui non esco più.

Elisa Bollazzi

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