Death is not the worst: recensione

Novità della Gainsworth Publishing, Death is not the worst si presenta come un urban fantasy piuttosto feroce, dove non mancheranno sia scene di gore estremo che una storia d’amore passionale.

Andiamo con ordine, parlando innanzitutto della trama: Catherine O’Bryan, giovane studentessa della Ole Lady, ritornata alla città natale per lasciarsi alle spalle gli spiacevoli eventi del suo recente passato, si imbatte nello spavaldo Tristan, unico erede dell’antica famiglia Averhart, che dimostra da subito interesse per lei, tanto da infrangere ogni regola e divieto si fosse imposto pur di farsi notare. Oltre il sorriso sprezzante del ragazzo, però, si celano ferite molto più profonde di quelle che la sua pelle mostra con fin troppa assiduità. Nel suo sangue si nasconde l’ira di un predatore, una maledizione che nessun Averhart può sciogliere, nemmeno dopo secoli di sofferenza e molte vite spese in tributo.

Fiamme nella notte, riti sciamanici, cannibalismo, corpi che bruciano occultando agli Umani uno dei più grandi segreti della Storia, ma questa è solo routine per gli Averhart e gli altri Cacciatori.
Il nemico li attende nell’ombra, pronto a ucciderli non appena abbasseranno la guardia. I suoi occhi d’ambra non smetteranno mai di fissarli, fino a quando non li avrà eliminati. Tutti.
Solo la Morte potrà placare la sua terribile Vendetta.

Il romanzo, come detto in precedenza, è un urban fantasy, con tinte romance ed horror. Non è per stomaci deboli, in quanto troveremo diverse persone mangiate e smembrate dai predatori, archetipi dei mostri che da sempre tormentano l’umanità. Queste creature, pur avendo un aspetto ferino, si sono mimetizzate nella società umana. Solo i cacciatori possono riconoscerli e combatterli. I predatori racchiudono sia le caratteristiche dei vampiri che dei licantropi, eppure, nonostante siano creature pericolose, non sono incapaci di empatia o compassione. Come coi demoni in “Devilman”, ci chiederemo chi sia il mostro e se le due specie siano effettivamente così diverse tra loro. Insomma, pur presentando alcune cose già viste negli urban fantasy, Death is not the worst esibisce degli svolti etici piuttosto interessanti.

Parlando della storia d’amore, finalmente ne incontro una realistica dopo tanto tempo. Sembra quasi una risposta a tutti gli stereotipi orribili degli young adult e new adult, ovvero della ragazza che subisce in maniera inquietante ed ottusa atteggiamenti di molestie, abusi e stalking da parte del suo fidanzato troglodita e disturbato. Qui, la protagonista riconosce che il suo ex è un sociopatico e lo denuncia alla polizia. Ovviamente ciò la segnerà e renderà difficile il suo rapporto con l’altro sesso. Tris, per riuscire a costruire una relazione con Cat, aspetterà pazientemente che quest’ultima affronti i suoi demoni e successivamente l’aiuterà a fare in modo che l’ex venga consegnato definitivamente alla giustizia.

I personaggi sono ben caratterizzati. Parlando dei tre principali, ognuno si nasconde dietro una maschera: Cat, una ragazza burbera che si cela dietro un’immagine di sé stessa forte per proteggersi dal proprio dolore. Ha paura degli uomini a causa del suo rapporto disastroso con Liam. Ma si rivela anche una donna capace di grande coraggio se vede i suoi cari minacciati.

Tris è un ragazzo che deve sopportare le aspettative della sua famiglia e del Consiglio. Da bambino era piuttosto introverso e malinconico, da adulto nasconde il suo vero sé dietro la maschera del ricco Dongiovanni sfacciato. Nonostante a volte si comporti da imbecille, Tris non è un sociopatico e lo dimostra nell’aiutare Cat a trovare giustizia ed a supportarla emotivamente durante il suo periodo più buio.

Infine, parliamo del villain della storia: William. Come i membri della sua specie, è la mimesi in persona, in quanto deve mescolarsi agli umani per sopravvivere. Egli si presenta come un miliardario affascinante e carismatico, in realtà è una persona seriamente disturbata. A causa della morte della sua cara moglie, non trova pace. Soffre di bipolarismo, schizofrenia, necrofilia, sociopatia, sadismo, cannibalismo sessuale, insomma un terapeuta avrebbe molto da lavorare su di lui. Il personaggio è  ben analizzato, ha il fascino aristocratico (e anche la “dote culinaria”) di Hannibal Lecter e la brutalità di un licantropo. William non si nasconde solo agli umani, ma anche ai membri della sua specie, in quanto è pazzo perfino per gli standard dei predatori. Si avvicina molto al Dracula di Coppola e devo dire che una parte del libro cita il film del regista.

In conclusione, Death is not the worst è un esperimento riuscito. Presenta alcuni cliché, come le creature paranormali cacciate da un’organizzazione segreta, ma riesce ad usarli per dare vita a personaggi e un’ambientazione personalizzati. Insomma,  i due mondi, umano e ferino, sono i mezzi con la quale si descrive la psiche dei personaggi.

 

Debora Parisi

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