Bojack Horseman – Stagione 5: recensione

Il sorriso di Bojack.
Uno dei pochi sorrisi sinceri di tutta la serie.
Con questo piccolo e raro spiraglio di felicità e di speranza si era conclusa la quarta stagione di una delle serie tv più innovative degli ultimi anni. Ci eravamo abituati ormai a finali cupi e cinici, con poco spazio per l’allegria e la positività, ma ora che Bojack aveva ritrovato un membro della sua famiglia che non lo considerasse una nullità era per lui la cosa più bella che potesse succedere in una vita di delusioni.


Ebbene, la quinta stagione, approdata su Netflix lo scorso 14 settembre, riesce a prendere quel piccolo barlume di speranza e gettarlo nuovamente in un baratro di depressione e realismo, perché è questo Bojack Horseman, una serie che non prende in giro, che non cerca un lieto fine per allietare il pubblico, ma neanche un finale forzatamente orribile, è semplice realtà.
Ironico parlare di realtà in un mondo abitato da umani antropomorfi.


Deciso a cambiare in meglio la sua vita e a ritrovare l’energia, Bojack accetta di girare la serie TV noir Philbert, diretta dallo sfaticato Flip McVickers, doppiato in originale da Rami Malek (Mr. Robot, Bohemian Rhapsody). Per fare ciò, tuttavia, Bojack sarà costretto ad accettare compromessi, a sottostare a determinate regole dettate dalla “Hollywoo” vecchia e nuova.
Ed è proprio la nuova Hollywood, come sempre, il centro del mirino della quinta stagione. Un mondo che impone compromessi, che lancia movimenti inutili e molte volte ipocriti, come l’ormai celebre #metoo, (Questa città è piena di ipocriti. Sono tutti indignati quando la loro star preferita è un porco, ma sono pronti a riportare in auge i porci che già conoscono, dice Diane nel terzo episodio), nella quale molte persone cercano rifugio da una vita distrutta, ma che raramente vengono aiutate, e si ritrovano più demoralizzate di prima. Un mondo dove le opere cinematografiche o seriali hanno come protagonisti personaggi orribili, ma coi quali siamo portati a simpatizzare.


Dunque il personaggio che Bojack interpreta in Philbert diventa lui stesso, qualcuno in cerca di una verità che già conosce, una persona orribile che tenta di giustificare se stesso con mere scuse, ma che alla fine rimane sempre uno stronzo.
Bojack non ha mai nascosto l’odio profondo che prova per se’ stesso, ma con questa stagione raggiunge l’apoteosi. Capisce finalmente che non ha sofferto solo lui, che molte altre persone soffrono a causa sua, e che se non trova al più presto una soluzione, rischia di distruggersi.
Emblematico è l’episodio Churro gratis, composto unicamente da un lungo monologo dell’attore durante un funerale. Forse serve come valvola di sfogo personale, forse come realizzazione di una o più verità tenute a lungo nascoste.


Forse il personaggio che più può compatirlo non è ma Diane, ancor più di Princess Carolyn. Grazie a, o per colpa di Bojack, anche lei si rende conto di non essere totalmente una brava persona. Ha sofferto come lui, forse anche di più, ma ha la sua parte di colpe, e solo per questo, seppur continui a odiare Bojack, lo considera un caro amico.

Riguardo agli altri, in mancanza di un termine migliore, amici di Bojack, la stagione continua ad approfondirne il passato e la psicologia, proponendo un interessante quanto triste passato di Princess Carolyn e la sua voglia ad avere un bambino alla sua età, o l’assidua immaturità di Mr. Peanutbutter e il suo rapporto con Diane, ormai prossimo a sgretolarsi, ma grazie a ciò finalmente vicino ad un radicale cambiamento.
Forse il personaggio che resta lo stesso, e ciò stona leggermente, è Todd. Seppur continuino a trattare in maniera equilibratamente esilarante il suo essere asessuale, persiste il suo voler creare e\o risolvere situazioni involontariamente o in maniera idiota.

Ci si dovrebbe chiedere: se davvero riusciamo a provare empatia per un personaggio odioso come Bojack, o per altri personaggi orribili protagonisti di altre famose serie tv, come (restando in tema Netflix) Jimmy McGill, Rick Sanchez o Fank Castle, allora anche noi siamo come loro? Anche noi abbiamo delle colpe che dovremmo riconoscere? Anche noi siamo persone orribili?
Non c’è una vera risposta a ciò. Perché alla fine, non significa niente brutte persone o belle persone, siamo solo persone, che a volte fanno cose belle e altre volte cose brutte, e noi non possiamo fare altro che cercare di fare meno cose brutte e più cose belle.

Andrea De Venuto

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