Agadah: recensione

Liberamente tratto dal celebre Manoscritto trovato a Saragozza di Jan Potocki, Agadah è una rilettura di uno dei grandi classici della letteratura europea.

 

Il romanzo fu scritto in francese all’inizio del 1800 e ha avuto tra le peripezie più singolari che la storia della letteratura ricordi.

Il Manoscritto è una serie di storie di fantasmi, intrecciate l’una nell’altra come scatole cinesi: “un Decamerone nero”, suggestivo e grandioso fatto di simbolismi a volte indecifrabili in cui si ritrovano tutti gli elementi del romanticismo nero.

Agadah è suddiviso in dieci capitoli, ognuno dei quali è costituito da una giornata. Alfonso Van Worden (Nahuel Pérez Biscayart), giovane ufficiale della guardia Vallone al servizio di Re Carlo di Borbone, all’indomani della battaglia di Bitonto – combattuta nel 1734 fra spagnoli e austriaci -, si reca a Napoli per riunirsi al suo reggimento attraversando l’altopiano dell’Alta Murgia, seppur sconsigliato dal suo fido servitore in quanto luogo notoriamente infestato da spiriti maligni.

Inizierà così per Alfonso un viaggio iniziatico, tra allucinazioni e magia in caverne misteriose, locande malfamate, amori scabrosi e apparizioni diaboliche.

Opera ricercata, complessa, dalla messinscena sontuosa, Agadah spicca per la particolarità narrativa – una serie di microstorie e di personaggi e narratori che vanno ad inserirsi nella macro storia del viaggio di uno dei protagonisti, Alfonso van Worden. che diventa protagonista unico – e per la molteplicità dei livelli di lettura. In questa operazione drammaturgica vengono messi in rilievo il conflitto tra i contenuti fantastici ed esoterici dei vari racconti ed il tentativo di interpretare, da parte di Alfonso, gli eventi attraverso “i lumi della ragione”.

Ogni protagonista e ogni storia all’interno del viaggio ha un suo tema musicale: il primo personaggio che incontriamo è appunto il protagonista del viaggio Alfonso Van Worden che diventerà il testimone delle storie e dei vari personaggi che incontreremo nel corso della storia.

Il tema musicale di Alfonso si trasforma e diviene quello di suo padre, un ex capitano delle guardie Avallone molto goffo e amante di buffi duelli che servono a mantenere alto il suo onore.

La prima donna a palesarsi in questo racconto è la Principessa di Monte Salerno, un’affascinante e misteriosa signora che abita da sola in un buio castello e che condurrà nelle sue stanze un giovane e sprovveduto visitatore. I personaggi, dunque, introdotti e raccontati attraverso un’affascinante percorso musicale:  19 tracce di un minuto circa ciascuna, eseguite dall’Orchestra dell’Annunciata di Abbiategrasso, diretta, per l’occasione dallo stesso compositore della colonna sonora, Alessandro Sironi, che abbiamo avuto il piacere di ascoltare il 5 aprile durante una serata bellissima presso l’Auditorium Parco della Musica.

 

Federica Rizzo

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