Boy: recensione

La delicatezza di Boy stona. Stona dappertutto. A casa, per strada, a scuola.

“V’è forse un assassino qui? No… si. Sono io.”

Difficile affidare ruoli di vittime e carnefici nel testo della Versteeg.

C’è il corpo di una donna, che uccide ogni forma di vita possibile dentro il suo utero.

La lontananza già segnata dall’uomo che la ama.

C’è un bambino, che viene al mondo togliendo la vita a sua madre.

È un incontro che fatica a diventare amore e poi si perde, troppo presto.

Confini sottili come carta velina, invalicabili come la più alta delle montagne.

Ci sono i ruoli. Complicati da mantenere, faticosi da cambiare.

È un continuo urlare sordo, ritirarsi dove non c’è nulla da dover spiegare ma soltanto poter essere.

Libero come un uccello, come la terra piena del caldo e dei colori che gli appartengono nella pelle.

Boy. Il figlio adottivo, il compagno soggetto, che reagisce sempre con il silenzio barricato dentro gli occhi.

L’inadeguatezza di una donna che si sente madre, madre nelle viscere, come non lo è mai stata, soltanto quando lo perde.

C’è Hannah, che zoppica. Ma non è la gamba cattiva il suo punto debole. È credere che esista la felicità, provare a insegnarlo, stando in piedi, come fosse nuda, davanti a una classe di stupidi adolescenti, dove vige solo la regola del più forte.

E lei, che non riesce a starne fuori.

È convinta che soltanto recitando si possa conoscere davvero se stessi, senza  mentire.

Si rifugia in Shakespeare, cerca di far interpretare Riccardo III a ognuno di loro. La prendono in giro, Boy lo sa. Lei si ostina a non capirlo.

Con lei, lui urla, scrive. Le confessa che non ce la fa più.

Lei lo incoraggia, a suo modo.

Lui le crede. Aveva creduto anche a sua madre.

Volevano solo aiutarlo.

Si ritroveranno sole, lontane, in un’altra terra, a covare rassegnazione e vendetta.

Finiranno per lasciar cadere a brandelli ogni rigidità. Cambieranno con le stagioni e si sosterranno. Saranno una la stampella dall’altra.

In mezzo, l’anima fragile di Boy.

Troppo facile parlare soltanto di bullismo.

Questo è un romanzo che parla di radicate solitudini.

Erika Carta

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