28 anni dopo: recensione

Facendo un ripasso: cominciò tutto nel 2002 con l’apocalittico horror a sfondo “zombesco” 28 giorni dopo, per la regia di Danny Boyle su sceneggiatura di Alex Garland, dove si parla di un’ipotetica epidemia generata dal virus di una scimmia e destinata a trasformare chiunque entri in contatto in un essere rabbioso, voglioso di carne umana; si prosegue poi nel 2007 con 28 settimane dopo di Juan Carlos Fresnadillo, un valido sequel, con Boyle e Garland nella sola veste di produttori, che riprende da quanto accaduto nel film precedente ma seguendo una trama diversa, generando la propria storia principale sull’unione di una famiglia coinvolta in questa apocalisse senza precedenti.


Oggi, 2025, dopo aver visto diverse storie di pandemia “vera” e su uno sfondo alquanto disagiato come quello sociale che stiamo vivendo, il regista Boyle, che nel frattempo si è anche guadagnato un Oscar nel 2008 con The millionaire, riprende la sua creatura e assieme allo sceneggiatore Garland intende di nuovo avventurarsi nel genere horror con il suo occhi cinetico, tra finzione e probabili realtà, proseguendo quel discorso cominciato con 28 giorni dopo.

Tramite 28 anni dopo quindi assistiamo a nuovi sviluppi che sono avvenuti a seguito dell’epidemia mortale che ha invaso al terra; ci troviamo dalle parti della Scozia dove in un villaggio sito su un isola, lontano dalla pericolosa terra ferma, vive un uomo di nome Jamie (Aaron Taylor-Johnson), padre del piccolo Spike (Alfie Williams) e marito di Isla (Jodie Comer), donna ferma a letto per via di una malattia che la debilita.

Lo stesso Spike, dopo aver affrontato assieme al padre la sua prima esperienza di sopravvivenza nella terra ferma, decide di voler cercare a tutti i costi l’unica persona che potrebbe salvare sua madre, il misterioso dottor Kelson (Ralph Fiennes), un esiliato lontano da tutti e unica mente medica presente per chilometri da quelle parti.

Contro il voler del padre Jamie, il piccolo Spike prende Isla e assieme a lei affronta i pericoli più disparati, con lo scopo di raggiungere il proprio obiettivo e la consapevolezza che la terra ferma è piena di infetti pericolosi, pronti a sfamarsi delle loro carni.

 

Cavalcando gli inverosimili anni recenti che hanno visto innanzitutto la parola “pandemia” prendere il sopravvento, Boyle con 28 anni dopo cerca di riportare una propria ispirazione al cospetto di un lungometraggio capace di fare il punto sulla situazione sociale odierna, parlando sì di un futuro ipotetico, ma palesemente rivolto a ciò che siamo noi esseri umani di fronte ad eventi tragici e apocalittici come un’epidemia.

Diciamo che questo terzo capitolo, che apre comunque le porte ad un proseguimento (è in preparazione un nuovo capitolo ed in via di produzione un ulteriore tassello), non è proprio un film completo, i cui argomenti ed anche risvolti psicologici dei suoi personaggi (Jamie e la moglie Isla, il dottor Kelson) risultano abbastanza tronchi, come in attesa di nuove rivelazioni che arriveranno ad altri capitoli a venire.

Come survial movie 28 anni dopo ha le sue idee e una sua visione, ad anche un valido piccolo protagonista quale è il giovane Williams, salvo però risultare a se stante e poco sviluppato, avendo il pregio di mostrare nuove minacce (gli infetti divisi per categoria, dagli “striscianti” ai più pericolosi “alfa”) ma senza aggiungere granché a ciò che finora è stato detto dai due validissimi capitoli precedenti.

Si attendono ulteriormente i prossimi film in preparazione, facendoci bastare quel poco mostrato in questo 28 anni dopo.

Mirko Lomuscio