Zamora: recensione

Attore che alterna commedia al cinema di un certo spessore, Neri Marcorè dopo tanto spettacolo in veste di attore, in film, fiction e spettacoli televisivi, decide di passare dietro la macchina da presa e dare vita ad una sua opera prima, in modo da poter esercitare la propria indole ironica fatta di battute sagaci e leggere sfumature malinconiche.

Ed è proprio la malinconia ad uniformare questo suo primo lungometraggio, Zamora, ambientato nella Milano degli anni ’60, quando l’Italia era nel pieno del boom economico ed il calcio già impazzava tra la gente che, in alternanza, seguiva alla tv sia La domenica sportiva che Lascia o raddoppia condotto da Mike Bongiorno; protagonista della pellicola è il contabile Walter Vismara (Alberto Paradossi), originario di Vigevano, che di punto in bianco si vede essere trasferito per esigenze lavorative al capoluogo lombardo, la ricca e popolata Milano, prendendo servizio nell’azienda del cav. Tosetto (Giovanni Storti), un interista sfegatato che obbliga i suoi dipendenti a partecipare a tornei di calcio settimanali: scapoli contro ammogliati.

Il problema di Walter però è che di calcio non mastica granché, tant’è che si improvvisa portiere, ma per poter dimostrare qualcosa decide di farsi insegnare dall’ex leggenda del pallone Giorgio Cavazzoni (Marcorè), un noto portiere divenuto ora un alcolizzato, il quale a pagamento gli insegnerà a farsi valere sul campo.

Lezioni che il buon contabile prende come anche esempio di vita, data la delusione sentimentale avuta dalla bella collega Ada (Marta Gastini), interesse amoroso del timido Walter.

Esordio alla regia come se ne sono visti parecchi ormai tra i nostri noti attori cinematografici, Zamora, titolo che fa riferimento al portiere spagnolo Ricardo Zamora, è un’opera che innanzitutto pecca nella sua messa in scena da fiction RAI (che produce) ambientata nell’Italia degli anni ’60, simile a titoli come Il paradiso delle signore o Raccontami tanto per dire un paio di esempi, e quindi sotto questo aspetto ben poco ha da mostrare cinematograficamente parlando.

Ma superato questo particolare difetto, l’opera di Marcorè in fin dei conti si lascia guardare, sfoggiando una scrittura discreta e una ricostruzione emotiva di quegli anni che risultano sempre ben accetti, con canzoni d’epoca, che certo non brillano d’originalità nella scelta, ma che almeno riescono a ricreare quei richiami emotivi (presenti tra gli altri brani come Ma che freddo fa di Nada e Il mondo di Jimmy Fontana).

Poi la vicenda del giovane Walter interpretato da Paradossi si costella di personaggi e sagome che rappresentano egregiamente una certa vita della Milano in pieno boom, ognuno direzionato dal regista Marcorè a rappresentare determinati cambiamenti sociali e di pensiero che si annidavano nelle menti delle persone di allora, portando a quello che oggi è la nostra società; quindi, attori come i citati Storti e Gastini, più Walter Leonardi, Anna Ferraioli Ravel, Pia Engelberth, Antonio Catania, il duo Ale e Franz, Giovanni Esposito e un Giacomo Poretti in apparizione speciale, si alternano sullo sfondo di Zamora per descrivere quegli anni ’60 particolari, seppur suddetti volti servono al Marcorè regista per fare numero e attirare il favore di un pubblico in cerca di una risata facile.

Qua le troverete risate facili, più che altro a denti stretti, come anche troverete un film dal sapore leggero a cui si può giusto complimentare il suo essere più riuscito di una fiction televisiva; forse non un complimento appieno, ma è la pura e sincera verità.

Mirko Lomuscio