The gray man: recensione

Nonostante recentemente abbiamo visto una completa rivoluzione narrativa nel mondo di James Bond, tant’è che si vocifera di una prossima reinvenzione del personaggio, il resto della cinematografia continua a rendere omaggio al seguito spionistico che il personaggio di Ian Fleming si è lasciato alle spalle sui grandi schermi, permettendo a qualsiasi regista di mostrare una propria ottica nei riguardi di questo ricercatissimo genere.

Ultimi in questa esperienza sono i fratelli Anthony e Joe Russo, reduci dai fasti marveliani dei loro titoli dedicati agli Avengers e a Captain America, ora alle prese con un action movie ispirato ad un libro di Mark Greaney, una spy story ambientata in giro per il mondo, soprattutto in Europa, e che vede per protagonista un Ryan Gosling glaciale e spietato, una vera e propria arma da combattimento.

The gray man è un titolo Netflix, la maggior produzione della nota casa (un budget di duecento milioni di dollari), e che sarà possibile assistere al cinema dal 13 luglio, mentre in streaming sarà fruibile dal 22 luglio; la storia è quella dell’agente C.I.A. Court Gentry (Gosling), alias Sierra Six, che dopo aver portato a termine una missione entra in possesso di un gingillo che i suoi superiori vorrebbero avere.


Tale oggetto però sembra compromettere diverse cose, come la vita di Court stesso, il quale si vede costretto a fuggire di nazione in nazione, cercando di sfuggire all’ira di chi lo vuole morto; infatti un noto killer di nome Lloyd Hansen (Chris Evans) è stato messo alle calcagna di Gentry, dando inizio così ad una spericolata caccia all’uomo che metterà a ferro e fuoco alcune delle maggiori città europee.

Sorretto da una trama canovaccio architettata con fini altamente spettacolari, The gray man è una mega produzione di tutto rispetto, che sin dalle prime immagini intende lasciare poco spazio alla ragione filmica e si adagia su un racconto fatto di momenti stunt al cardiopalma.

E sotto questo aspetto si elogiano le scene adrenaliniche qua onnipresenti, che si tratti di inseguimenti in macchina o di combattimenti a mani nude, i Russo è ovvio che intendono tirar su il loro personale omaggio al mondo di Bond e dei vari Jason Bourne, miscelando inverosimile spettacolarità e freddo realismo scenico per un prodotto tutto da godere.

Certo note stonate ce ne sono, come momenti di lungaggine che portano il film inutilmente verso le due ore, oppure i determinati gratuiti risvolti di trama che dovrebbero sensibilizzare la psicologia di Court (il rapporto tra lui e la piccola amica Claire interpretata da Julia Butters); per il resto rimane l’alchimia tra i protagonisti, dove troviamo da una parte un Golsing dedito alla poca mimica facciale (anche quando si tratta di subire colpi violenti non batte ciglio) e dall’altra un Evans istrionico, cui spetta il ruolo del nemico sadico e violento, con baffo ben definito e abiti improbabili, forse il migliore del lotto.

Completa il cast la presenza della lanciatissima Ana de Armas, nei panni dell’agente Dani Miranda, di Billy Bob Thorton in quelli del mentore di Court, il veterano Donald Fitzroy, ed infine di Alfre Woodard, la cui presenza fa molto recitazione vecchia scuola.

Seppure abbastanza telefonato nel suo esile svolgimento, The gray man azzarda a voler dare qualcosa di nuovo nel genere action, senza riuscire con grandi risultati ma regalando almeno un paio d’ore di pura adrenalina filmica, tra citazioni bondiane (per dirne una, c’è una fuga col paracadute come in Agente 007 – Moonraker: operazione spazio) e deflagrazioni plateali, magari con l’invadente difetto di appoggiarsi a della eccessiva CGI.


Ma questi sono i tempi moderni, ormai non c’è cinema d’azione che venga concepito senza una massiccia dose di effetti digitali; prendere o lasciare.

Mirko Lomuscio