Until dawn – Fino all’alba: recensione

Non c’è cosa più bella per un film horror se non quella di poter giocare con il genere in sé, innanzitutto citando nel mezzo della propria trama diversi elementi che hanno fatto la storia della settima arte orrorifica, un tipo di ingegno messo alla prova da Scream di Wes Craven e poi ancora più consolidato con Quella casa nel bosco di Drew Goddard.

Ora, sulla falsariga di quest’ultimo titolo, arriva nelle sale il qui presente Until dawn – Fino all’alba, per la regia del David F.Sandberg di Lights out – Terrore nel buio e Annabelle 2: creation (nonché recentemente rodato ai cinecomic con il dittico dedicato a Shazam!), un’opera che fa del citazionismo un elemento portante e obiettivo finale da raggiungere a tutti i costi.

La storia è quella di Clover (Ella Rubin), la cui sorella è scomparsa da tempo e, assieme ad un gruppo di amici, si avventura nei luoghi dove è stata vista l’ultima volta.

La ricerca li porterà direttamente in una casa abbandonata, un luogo misterioso quanto sinistro che, sin da subito, metterà alla prova i ragazzi con una maledizione da cui è impossibile fuggire; ogni notte, questi, dovranno cercare si sopravvivere fino all’alba senza farsi uccidere dalle minacce imminenti che vi sono attorno.

Se al sorgere del sole riusciranno ad essere ancora vivi allora potranno tornare a casa, ma per farlo dovranno provare quante più morti possibili e per mano di assassini spietati o mostri affamati di sangue.

Con la premessa che il qui presente lungometraggio è prodotto da Playstation stessa, nota casa di videogame e console, capire dove voglia andare a parare un film come Until dawn – Fino all’alba non è difficile da capire, data anche la poca voglia di approfondire il materiale a disposizione e messo al servizio di un pubblico prevalentemente adolescenziale.

Il regista Sandberg, ovviamente appassionato al genere horror, si gingilla in piccole citazioni e riferimenti a elementi splatter del caso, tra ammazzamenti all’arma bianca per mano di un serial killer mascherato (Jason Voorhees docet) oppure tramite maledizioni di streghe fameliche (con occhiatine a La casa di Sam Raimi) o mostri pseudo zombie (il cinema di George A. Romero); insomma una vera festa per chi è in cerca di visibili orrori facili senza problemi.

Il problema di Until dawn – Fino all’alba sta però nella superficialità del tutto, perché lo script steso da Blair Butler (Polaroid, The ceremony – Invito mortale) e Gary Dauberman (Annabelle, It, The nun – La vocazione del male) non ha alcuna intenzione di approfondire chissà quale finalità nella storia o nel complesso del marchingegno filmico in sé, tant’è che si arriva a visione conclusa con la sensazione di aver assistito ad un’opera cha ha lo spessore di una escape room qualsiasi.

Ci sono giusto i vari fantasiosi ammazzamenti che, più che al cinema horror in sé, sembrano derivare dal mondo dei vari videogame basati sul genere orrorifico, e la presenza di un cast composto per lo più da facce anonime, con la sola partecipazione di un Peter Stormare in evidente voglia di vacanza premio, fanno ben intendere quanto Until dawn – Fino all’alba sia stato creato per non incidere assolutamente tra gli appassionati di un certo cinema, ma solo per gli amanti dei game in generale, che siano giochi di ruolo oppure console da tavolo.

Mirko Lomuscio