Mission: impossible – The final reckoning: recensione

E’ giunto il momento di tirare le somme; ben ventinove anni sono passati da quel 1996, anno in cui il noto Tom Cruise decise di cimentarsi nel genere action interpretando e producendo un lungometraggio ispirato al noto telefilm Mission: impossible, appuntamento anni ’60 su piccolo schermo creato da Bruce Geller e che aveva per protagonista un’agenzia governativa americana, l’MIF, dedita alle più ingegnose e pericolose operazioni spionistiche che si possano immaginare.

Dopo sette capitoli cinematografici, che con alti e bassi hanno saputo riportare su grande schermo svariate emozioni adrenaliniche, il buon Cruise decide di mettere una presunta parola fine a questa saga, giungendo con questo Mission: impossibile – The final reckoning ad un annunciato epilogo che chiuda questa sua parentesi nel genere d’azione.

Il qui presente episodio riprende i passi da dove era rimasto il precedente capitolo, Mission: impossibile – Dead reconing parte uno, e l’agente Etha Hunt (Cruise) , da solo contro i suoi stessi superiori, intende portare avanti la propria lotta contro quella che risulta essere una nuova minaccia mondiale, ovvero la cosiddetta Entità, una Intelligenza Artificiale capace di poter prendere possesso dell’intero sistema mondiale, armamenti nucleari compresi.

Con al fianco fidati collaboratori come Luther Stickell (Ving Rhames), Benji Dunn (Simon Pegg) e la ladra professionista Grace (Hayley Atwell), Ethan dovrà quindi affrontare un’altra corsa contro il tempo, cercando di fermare questa AI e distruggendo il suo Codice Sorgente, il tutto affrontando anche un temuto nemico come il micidiale Gabriel (Esai Morales).

 

Atteso “capitolo finale” di questo trentennale appuntamento con il genere action, Mission: impossible – The final reckoning è un film che, sinceramente, non era nato con le giuste premesse, dato il flop ottenuto dall’episodio predente, motivo per cui il Cruise ha deciso di metterci anima e corpo a questa operazione conclusiva.

E quale modo migliore se non fare dei rimandi ai capitoli precedenti, con situazioni e personaggi legati al passato di questa lunga saga?

Il regista e co-sceneggiatore Christopher McQuarrie, già al timone dei tre precedenti film,  decide quindi di ingegnarsi una trama che possa legarsi anche a determinate avventure dell’agente Hunt (e precisamente quelle del capitolo uno e tre) e infarcisce il suo lungometraggio di rimaneggiamenti adrenalinici, a suon di montaggi serrati, con lo scotto però di esporre una storia che dire scarna è dire poco.

Difatti Mission: impossible – The final reckoning non può dirsi quel tipo chiusura degna di nota per questa serie cinematografica, nonostante l’azione eccessiva e la spettacolarità di determinati momenti (la scena del sottomarino, lo scontro finale sui biplani), soprattutto per la poca originalità di una trama che per quasi tre ore (!) la tira per le lunghe e per come la stessa si rende abbastanza superficiale nello spettacolo che espone; assistiamo sì a colpi di scena, uscite ed entrate di personaggi fondamentali, strizzate d’occhio al passato della saga e così via, ma il tutto come se ci fosse una rapida voglia di chiudere le danze e senza approfondire alcunché del personaggio Hunt di Cruise, che si espone in lunghe corse e deliranti performance fisiche buone per la causa d’intrattenimento.

L’intrattenimento c’è come anche l’azione forsennata, quindi chi è in cerca di spettacolo facile sarà ovviamente accontentato, ma come già accennato ci si sarebbe aspettati una chiusura più elaborata per questa saga quasi trentennale, che ha visto al proprio cospetto anche la collaborazione di artisti del calibro di Brian De Palma e John Woo.

Mirko Lomuscio