I peccatori: recensione

Ormai cantore di una new wave all black post Spike Lee, in compagnia ad altri nomi come gli attuali Jordan Peele e Steven McQueen, Ryan Coogler dopo aver affrontato diversi generi, come il drammatico (Prossima fermata Fruitvale Station), lo sportivo (Creed – Nato per combatttere) e addirittura il cinecomic (Black Panther e sequel), decide ora di trascinare la sua ottica e la sua “rabbia” cinetica verso un genere quale è l’horror, portando in sala un titolo che miscela omaggi alla cultura blues del sud degli Stati Uniti degli anni ’20 con un pizzico di cinema di genere, gettando il tema del vampirismo in una trama che mette al proprio centro il discorso razzismo e la lotta contro la supremazia bianca dell’epoca.

Con protagonista quell’immancabile Michael B. Jordan presenza fissa del cinema di Coogler, I peccatori vede il noto attore alle prese con un doppio ruolo, dato che ricopre i panni di due fratelli gemelli, Smoke e Stack, i quali, nell’America degli anni ’20, ritornano nella loro natia Mississippi dopo un lungo viaggio di affari, con una grossa somma da spendere e un progetto da tirare su: un locale notturno dove la gente di colore possa distrarsi dalla fatica dei campi di cotone e del contesto sociale che stanno vivendo.

In questa impresa i due coinvolgono anche il cugino chitarrista Sammie (Miles Canton), un giovanissimo abile blues man figlio di un predicatore, nonché testimone di questo nuovo progetto voluto da Smoke e Stack, che ben presto però diverrà qualcosa di ben oltre l’impensabile.

Durante la prima sera di apertura infatti, alle porte del locale, si presentano tre tizi bianchi, tra cui il misterioso Remmick (Jack O’Connell), e le loro intenzioni sono poco benevole, perché sono persone che di umano hanno ben poco, mostrando addirittura un inaspettato sanguinario lato mostruoso.

Con una premessa che guarda a fonti di ispirazioni dichiarate come Dal tramonto all’alba e The faculty, Coogler tramite il suo I peccatori “affonda i denti” in una pellicola vogliosa di affrontare il genere horror in modo ambizioso, dato il totale omaggio che fa della cultura blues e delle radici “nere” che si porta alle spalle.

E come fu nel film di vampiri realizzato da Robert Rodriguez nel 1996, anche questo di Coogler è un lungometraggio che sviluppa tutta la prima parte in modo più “terreno” rispetto alla seconda totalmente horror, descrivendo il contesto del Mississippi dell’epoca con dialoghi secchi e a loro modo funzionali, atti a descrivere l’atmosfera dell’epoca e esibendo addirittura un contesto sociale multietnico (ci sono anche personaggi orientali, nativi americani e meticci, quest’ultimi riscontrati nel personaggio interpretato da Hailee Steinfeld).

Premesse che gettano quindi I peccatori verso alte ambizioni artistiche e voglia di lungaggini, le quali però sviliscono l’animo d’intrattenimento che l’operazione avrebbe dovuto esibire senza problemi; ed infatti l’errore che commette Coogler con questo suo film è quello di diluire gratuitamente diversi discorsi, facendo sì blaterare i suoi personaggi iconici con fare tarantiniano ma peccando di approssimazione quando la visione sviscera il lato orrorifico, così che il vampirismo viene mostrato più come mera metafora (l’invadenza bianca nelle radici della cultura di colore, musica blues innanzitutto) e non sviluppato come si deve nel complesso della visione.

Rimane pur sempre un modo originale di affrontare il discorso del razzismo e della supremazia bianca nel mezzo di un’opera di intrattenimento, tra echi al succitato Rodriguez e anche al Walter Hill di Mississippi adventure, ma I peccatori infine risulta essere un’opera di modesta fattura che necessitava più di qualche sforbiciata in sala di montaggio.

Mirko Lomuscio